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Anno edizione: 2018
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Minniti contrappone l’ascolto della sinistra al comportamento dei populisti. Peccato che tutta la sua argomentazione sia populista. Invece di confrontarsi anche solo minimamente con la riflessione secolare sui rapporti tra sicurezza e libertà, ripercorsa con grande intelligenza da un libro recente di Mauro Barberis, l’ex-ministro ex-comunista conia una formuletta, “sicurezza è libertà” che molto deve alla tradizione della destra statunitense, quella che a partire dall’amministrazione Reagan ha portato al rifiuto della considerazione dei dati statistici e alla messa al centro del tema della “percezione”; per cui la presunta sicurezza si ridurrebbe alla percezione di essere sicuri (e alla percezione di essere liberi). Peccato che la percezione di insicurezza venga fomentata da ministri degli interni che così si esprimono: “a che mi serve la mia libertà se nel momento in cui esco di casa sono sottoposto a una minaccia? A che mi serve la mia libertà se non mi è garantito di andare dove voglio?”(pp.14-15). La libertà dovrebbe servire a rendersi conto quando si è davanti ad argomentazioni fallaci come quella riportata: chi si sente sottoposto a minaccia solo perché esce di casa è evidentemente un paranoico. Contribuendo alla percezione di insicurezza, il ministro degli interni non dovrà preoccuparsi di ridurre la criminalità, ma la percezione di insicurezza che lui stesso ha contribuito a far aumentare: sarà perciò il ministro della paura messo in scena da Antonio Albanese, ruolo che ha rivestito, con preoccupante successo, il ministro che è venuto dopo Minniti reiterando parossisticamente allarmi durante l’infinita campagna elettorale e nascondendo gli arrivi a Lampedusa di barchini non soccorsi dalle ONG. Utile è la parte che riguarda l’attività diplomatica di Minniti in Libia per comprendere con quanta presunta scaltrezza e quanta invece pochezza politica si sia lasciato lo spazio agli orrori che ogni giorno le agenzie ONU denunciano.
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