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Volume di rara bellezza. La Storia delle campagne vercellesi praticamente. Miniera di canti sociali e di lavoro. Ottimo libro di testo scolastico in vari campi
Ottimo testo per prendere atto di quello che è stato un movimento popolare e lavorativo, sopratutto femminile, con i testi delle canzoni che rappresentano molto bene gli stati d'animo delle braccianti. Consigliato(secondo me) anche come testo scolastico
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Senti le rane che cantano è una ricostruzione scientificamente rigorosa e stilisticamente nitida, dai sorprendenti esiti poetici, di un fenomeno storico ormai definitivamente concluso: il canto di risaia, e i vissuti popolari a esso connessi. I tre autori sono le voci narranti e direttive di un imponente saggio dall'impianto "polivocale" che intreccia una quantità considerevole di fonti, orali, scritte, figurate, sonore. La base documentaria è costituita da un corpus di oltre cinquecento canti fedelmente trascritti (melodia e testo, comprensivo di varianti) e corredati di una dettagliata descrizione. Si tratta di parte del materiale raccolto sul campo - magnetofono alla mano - da Emilio Jona e Sergio Liberovici durante gli anni sessanta e settanta, nell'area del Vercellese e del Polesine. Una selezione di registrazioni (canzoni intercalate a testimonianze verbali) è presentata in un cd allegato al volume, che fa da pendant al canzoniere scritto ed è un prezioso compendio dell'intera opera, rendendo testimonianza dello stile esecutivo e dello "spazio sonoro" in cui il canto di monda ha preso corpo.
Attorno a questo nucleo centrale di etnotesti si coagulano altre voci. Le interviste, innanzitutto. Un coro di testimonianze dirette che accompagna costantemente la trattazione, risultato di una paziente sbobinatura e traduzione dal dialetto dei documenti sonori originali, secondo il metodo sperimentato in passato da Nuto Revelli a proposito di un altro universo femminile (penso a L'anello forte , Einaudi, 1985). Le interviste sono accompagnate da articoli dei quotidiani dell'epoca, brani letterari, fotografie, disegni, cartoline, manifesti, dipinti.
Il concorso di questo insieme composito di fonti apre uno spaccato non solo della cultura orale, ma anche delle condizioni di vita del proletariato agricolo di risaia. Si delinea così un universo fortemente segnato dall'appartenenza di "genere", se pensiamo che la monda stagionale era un fenomeno esclusivamente femminile.
I ricchissimi riferimenti bibliografici e discografici danno profondità storica, sociale e antropologica al discorso degli autori, e insieme fondano e giustificano il loro approccio metodologico. A questo proposito si deve notare che il saggio, oltre a documentare la tradizione orale legata alla risaia, riflette sugli strumenti che l'hanno rilevata e inquadra storicamente le fasi evolutive della ricerca sul mondo popolare.
Il libro si colloca nel contesto degli studi etnografici sulla risaia inaugurati nel dopoguerra da Ernesto De Martino, su impulso delle Osservazioni sul folklore di Gramsci, e consolidatisi in seguito grazie all'attività di Roberto Leidy, di Cantacronache, del gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano. È anche continuazione e complemento di un lavoro pubblicato da Jona e Liberovici nel 1990, Canti degli operai torinesi dalla fine dell'800 agli anni del fascismo (Ricordi-Unipol). Il mondo operaio, da una parte, quello contadino, dall'altra, accomunati dallo stesso spirito protestatario.
Il canto di risaia era un canto in funzione di lavoro. Si sviluppò in stretta correlazione con l'attività della monda, ossia tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e l'inizio degli anni settanta del Novecento, quando la diffusione delle macchine agricole e dei diserbanti chimici rese inutile l'impiego delle mondine nelle coltivazioni di riso. La stagione della monda durava quaranta giorni. Le braccianti locali non erano una forza-lavoro sufficiente e allora si reclutavano altre donne dalle aree limitrofe. Per le mondine migranti sradicarsi dalla propria comunità significava emanciparsi da un ambiente repressivo e maturare, nella nuova condizione di temporanea "libertà", una solidarietà di classe, una coscienza sociale e politica. Proprio nel Vercellese, all'inizio del Novecento, si combatté vittoriosamente la battaglia per il diritto alle otto ore di lavoro. Non stupisce allora che la canzone politico-sociale sia uno dei principali "generi" del canto di risaia, rispecchiando l'effettivo attecchimento di elementari principi dell'ideologia socialista nella campagna padana. Il libro registra canzoni anarchiche, socialiste, anticlericali, antimonarchiche. La contaminazione e il rovesciamento parodico trasformano inni fascisti in canti antifascisti, canzonette disimpegnate in canti politici. Il celebre ritornello "Bandiera rossa la trionferà / bandiera rossa la trionferà", diffuso in risaia, nasce dalla strofetta omometrica "Ven chi Nineta sota l'umbrelin / ven chi Nineta te darò un basin". Il canto aveva una funzione pedagogica. Alle nuove mondine si insegnavano le canzoni di protesta perché le eseguissero e le diffondessero una volta ritornate al loro paese.
Ma il repertorio contempla molti altri generi, accoglie la grande varietà tematica propria della canzone popolare della koiné padana. Ben rappresentato è il canto militaresco. E l'esperienza della monda, a ben vedere, era simile a quella della naia: il reclutamento, il viaggio su treni-tradotta, la sistemazione in camerate. Renata Viganò (1952) paragona una cascina della Lomellina a una caserma di cavalleria ("Però i soldati sono donne, e a piedi") e la stagione della monda a una "dura ferma di trenta giorni, trenta giorni di pagliericcio e di poco mangiare".
Il lavoro era durissimo. Si stava tutto il giorno a schiena china, percosse dal sole, le gambe affondate nell'acqua. I corpi si piegavano, e si alzava il canto, "per fa pasà u tempo", "per non piangere", "per il gran male che avevamo nella schiena", raccontano le intervistate. Il padrone era felice se le donne cantavano, perché in questo modo potevano essere più produttive. Anche le canzoni di protesta erano ben tollerate, purché di ritmo sostenuto, mentre temute erano le canzoni lente, o, peggio, le conversazioni, "perché si stava zitte ad ascoltare, veniva la molla".
Il canto scandisce e allevia il lavoro, e talvolta lo descrive, lo riflette, come fa lo specchio d'acqua con le facce delle mondariso: "E tra gli insetti e le zanzare / duro lavoro ci tocca far" ( Bella ciao delle mondine ). Quasi ogni momento della giornata e ogni fase della stagione di monda trovano un canto corrispettivo: la sveglia all'alba, la siesta all'ora di pranzo, l'addio alla risaia ("Senti le rane che cantano / che gioia e che piacere / lasciare la risaia / tornare al mio paese").
La fatica della monda non lascia traccia nelle canzonette del ventennio, che offrono un'immagine ipocritamente oleografica del mondo popolare (giustamente Umberto Eco le definì "canzoni della cattiva coscienza"). Ma vi era anche una mitizzazione non propagandistica, dovuta al potenziale romantico che la figura della mondina portava in sé, figura capace di ispirare opere artistiche, letterarie e cinematografiche. Pensiamo a Riso amaro , il film del 1949, con Silvana Mangano. E il mito sarebbe continuato nei decenni successivi, promosso dalla formazione dei cori professionali delle mondine - come quello di Trino Vercellese - e dall'attività solistica di Giovanna Daffini. Siamo ormai alla fase del revival, del canto formalizzato, defunzionalizzato, svincolato da contesti lavorativi.
Uno dei capitoli del saggio è dedicato alla lingua delle canzoni, nella maggior parte dei casi l'italiano popolare, con spinte retoriche verso il registro nobile nei testi da cantastorie ("piangete Peppino nel gran periglio"). Non mancano testi dialettali, o mistilingui: "O Dio tu non vedi / la santa disuguagliansa / e 'l pan sensa pitansa / al völ pì nèn andà giù".
Molto approfondita è nel libro l'analisi musicale. Si diceva prima della scarsa specificità del repertorio, della sua permeabilità a canti di varia provenienza. Tale eterogeneità tematica è compensata da una forte omogeneità sul piano dello stile esecutivo. È proprio la modalità di fonazione - l'utilizzo di un registro acuto eseguito tra gola e testa, a voce piena - a caratterizzare il canto di risaia. La composizione e l'andamento delle voci, invece, è quello canonico della musica corale di area padana (tre voci, due delle quali si muovono omoritmicamente per terze parallele, mentre il basso alterna tonica e dominante). Ascoltando il cd - che coglie il canto "in attività" - notiamo come le diverse canzoni si snodassero in sequenze quasi senza soluzione di continuità; la "dissolvenza" tra un brano e l'altro avveniva sulla base di analogie testuali, ritmiche o melodiche.
Gli autori propongono un interessante confronto, sul piano espressivo, tra il canto di filanda e quello di risaia, il primo contraddistinto da un tono lamentoso, il secondo da un tono più gioioso. Al di là delle spiegazioni possibili, è un dato di fatto che le canzoni di monda abbiano un carattere festosamente combattivo, denunciato dal tono acuto, dal volume potente, dalla prevalenza di tonalità maggiori.
Oggi, al canto descritto in questo libro, sembra far da controcanto il silenzio. Silenzio che dura da più di trent'anni, da quando si è disfatto il tessuto socioculturale da cui erano scaturite le canzoni di risaia. Senti le rane che cantano riesce a restituirci la memoria sonora di quel microcosmo perduto - realtà allora acquatica, ora sommersa.
Pier Mario Giovannone
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