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302 p., f.to cm 28,5 x 25,5, ill. colori, cartonato con cofanetto, nuovo. Il 'luogo più sacro del mondo', la cappella Sancta Sanctorum in Laterano, è visibile solo dalle piccole finestre poste in cima all'edificio della Scala Santa. Attraverso esse è possibile scorgere, fra le più preziose reliquie della Cristianità, l'Acheropita, la prima immagine del Cristo, tradizionalmente attribuita a San Luca e all'intervento di mano angelica. A questa e a altre vestigia fanno da cornice splendidi affreschi, marmi e mosaici: opere d'arte inaccessibili al pubblico, fotografate nel corso di una lunga operazione di restauro. Il libro raccoglie contributi degli studiosi che hanno preso parte ai lavori e degli storici d'arte che hanno approfondito il tema del Sancta Sanctorum sotto diversi aspetti: l'architettura, i mosaici, gli affreschi .
recensione di Bacci, M., L'Indice 1995, n. 8
Il grande pubblico ha potuto leggere sui giornali non molto tempo addietro la notizia ufficiale del compimento dei restauri della decorazione parietale (musiva, ad affresco e marmorea) della cappella lateranense del Sancta Sanctorum. Benché i quotidiani non abbiano riservato a questo avvenimento un'eccessiva attenzione, si tratta purtuttavia di un evento di straordinaria importanza per la nostra conoscenza di quel fondamentale periodo della storia della pittura in Italia che si apre negli anni settanta del secolo XIII e culmina con l'attività di Giotto, nel periodo a cavallo fra Due e Trecento.
L'opera di restauro, realizzata da Bruno Zanardi grazie al contributo economico essenziale di un'impresa privata parmense, ha infatti rivelato, sotto le ridipinture cinquecentesche, la presenza di un ciclo affrescato medievale riconducibile, con esattezza pressoché assoluta, ai primi anni del pontificato di papa Niccolò III (1277-79), di cui è presente il ritratto nell'atto di presentare il modello dell'edificio a Cristo in maestà: si tratta del resto di una figura la cui crucialità in fatto di committenza è ben nota agli storici d'arte, come ricorda nel suo saggio Alessandro Tomei, dato che lo si è ritenuto spesso e lo si ritiene tuttora, anche a maggior ragione, il promotore della decorazione ad affresco del portico della Basilica di San Pietro e del transetto della Basilica Superiore di Assisi.
La possibilità di accostare a quei ben noti lavori un intero ciclo affrescato a Roma (che per quanto riguarda il periodo in questione rimane pressoché un 'unicum' nell'Urbe) cambia già di per sé tutti i termini della questione. D'altra parte, l'analisi dell'aspetto formale, oltre che dell'organizzazione iconografica e dell'impostazione ideologica che essa sottende, illustra abbondantemente non solo l'alto livello qualitativo degli affreschi ma anche la loro natura di opere "dotte", che rivelano un'attenzione costante alle innovazioni contemporanee e al confronto con linguaggi formali diversi, alla ricerca di una sorta di maniera "aulica" secondo le diverse sfumature che questo concetto poteva assumere.
Evidente è, ad esempio, il richiamo all'antico, soprattutto nell'impaginazione degli affreschi, nei quali per ogni parete sono dislocati due riquadri-finestre (ognuno dei quali contiene una "scena") che si aprono su un impressionante fondo decorativo rosso, caricato di motivi paleocristiani come i racemi, i delfini o i vasi ansati, mentre i costoloni presentano fregi di tipo classico (gli ovoli e fusarole) accostati ad altri che imitano le contemporanee o poco più antiche opere a tarsia dei maestri Cosmati. L'osservazione dei tratti fisionomici o dei panneggi richiama alla mente una pluralità di riferimenti: alcuni elementi farebbero pensare a Cimabue e Giotto, altri rimandano alla contemporanea pittura paleologa, altri alle opere romane della prima metà del secolo, allo stile bizantino di età macedone e tardo-comnena, all'arte federiciana e così via.
L'intrinseca complessità di questa pittura, avvertibile anche solo in una lettura rapida e parziale, dovrebbe impedire il pericolo, che già sembra incombente, di una sua semplicistica interpretazione in chiave "campanilistica", fondata sull'alternativa secca "Roma o Firenze". In questo senso Serena Romano, nel suo saggio, dopo aver messo in luce la pluralità dei riferimenti culturali presenti negli affreschi del Sancta Sanctorum procede al confronto con Assisi e alla rilettura dei fatti pittorici romani dei decenni seguenti, mettendo in evidenza come nel ciclo in questione emergano già con forza gran parte di quei problemi con cui verranno a cimentarsi gli artisti più tardi, ivi compresi Cimabue e Giotto, oltre ai romani Jacopo Torriti e Pietro Cavallini.
La "sensazionalità" del rinvenimento del ciclo affrescato non deve far dimenticare gli altri importanti risultati ottenuti grazie agli interventi di restauro: innanzitutto il mosaico che sovrastava il punto più sacro dell'edificio, dove erano l'altare, l'arca delle più preziose reliquie della cristianità e la veneratissima immagine di Cristo acheropita. Di questo Maria Andaloro fornisce un'analisi, innovativa anche nella forma (che prevede un'integrazione costante tra illustrazioni, grafici e testo), in cui un'attenzione particolare è prestata ad aspetti di solito poco perlustrati dell'opera d'arte, quali le caratteristiche del medium musivo, la matericità, il montaggio delle singole sezioni dell'immagine, la ricostruzione delle sequenze esecutive e dei disegno preparatorio, ecc.
Sezioni di grande interesse riguardano altri aspetti essenziali dell'edificio del Sancta Sanctorum: ricordiamo di passaggio, per ragioni di brevità, il saggio di Julian Gardner sull'architettura e quello di Patrizia Tosini sugli affreschi cinquecenteschi della loggetta con la teoria di santi. Concludono il volume alcuni contributi in cui sono illustrati con abbondanza di documentazione grafica e illustrativa i; diversi problemi inerenti a ogni singola fase del restauro. Tra questi, di particolare interesse è l'intervento di Bruno Zanardi, che in due appendici, integrando la propria esperienza di restauratore con l'analisi delle fonti documentarie, affronta il problema dell'uso di sagome per trasporre il disegno preparatorio e quello delle finiture a calce negli affreschi medievali.
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