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Anno edizione: 1991
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sconcertante, difficile da leggere, non per la lingua, ma per il contenuto.. prima di leggerlo la mia idea di prostituzione era superficiale come quella di quasi tutti, e l'idea di prostituta era quella di o "poverina", o "poco di buono", ma mai di lavoratrice. Ho dovuto lottare con i miei tabù nascosti mentre lo leggevo e mi sono accorta di averne tanti come purtroppo la maggior parte dei mediocri benpensanti. Bè, questo libro mi ha aiutato a risvegliarmi.
Recensioni
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recensione di Passerini, L., L'Indice 1991, n. 5
La lunga intervista antropologica di Sandra Landi a Carla Corso costruisce una storia di vita femminile che per certi versi ha molto in comune con le traiettorie della generazione del '68. Si riconoscono alcuni tratti propri delle donne cresciute negli anni cinquanta (l'intervistata è nata nel 1946), come l'ansia di trasgressione esistenziale e sessuale - per liberarsi della "verginità maledetta" - il rapporto privilegiato con un maschile da sfidare, affascinante e minaccioso, il rifiuto di un femminile debole e decaduto, più straziantemente seduttivo, che condurrà molte al rifiuto o alla tarda accettazione della maternità, "per libertà, paura, egoismo". Andar via di casa, essere libere, vivere negli alberghi, viaggiare per mezza Europa in autostop con pochi soldi, "épater" i benpensanti e rispettare le prostitute, sono tutti comportamenti e atteggiamenti narrati nell'autobiografia di Carla Corso, ma che si possono ascoltare nelle storie di molte altre sue coetanee. Anche la prostituzione viene raccontata con l'uso di concetti sessantotteschi come "fermento, movimento", "vietato vietare", "vivere alla giornata", insomma libertà e autoaffermazione che si trasformano in un più aggressivo modello di imprenditorialità sul mercato del sesso. Gonnelloni colorati come nuova attrattiva per i clienti, ma anche autogestione e prezzi più alti.
Il quadro di un certo mondo della prostituzione che così emerge non è solo un brillante esempio di letteratura picaresca, come osserva Dacia Maraini nella prefazione. È una fonte di grande interesse per lo studio storico del fenomeno e del suo ruolo sociale. In un libro che è diventato un classico sull'argomento, "Prostitution and Victorian Society", Judy Walkowitz ricorda che solo verso il 1970 la sessualità e la prostituzione emersero come temi legittimi dell'indagine storica, e il secondo, in particolare, come aspetto fondamentale della vita sociale e dei rapporti di genere nell'Inghilterra vittoriana. La disponibilità di studi e fonti in proposito favorisce ora il processo di storicizzazione. A questo fine, la testimonianza di Carla Corso deve essere in primo luogo confrontata con le interviste raccolte negli anni cinquanta in Italia da Danilo Montaldi e pubblicate in "Milano, Corea" firmato con Franco Alasia) e "Autobiografie della leggera". Montaldi aveva notato le stratificazioni proprie della prostituzione e aveva scelto quella "composta da moltissime ragazze immigrate": mentre non gli interessava quella "protetta dei quartieri alti". Le storie registrate da Alasia, come la testimonianza della polesana Fernanda, o scritte da Montaldi sotto dettatura, come la vita di Cicci, presentavano infatti una condizione dura, al limite della sopravvivenza, rispetto alla quale la casa di "tolleranza" appariva preferibile. Così dichiarava Cicci alla fine degli anni cinquanta, pur aggiungendo: "ho capito il senso di umanità della signora Merlin e la ringrazio poveretta per il suo desiderio di salvare delle povere creature ma quelle che sono nelle case chiuse non sono le più disgraziate". Ascoltando storie in cui "far la vita", come dicevano le donne stesse, voleva dire ubbidire a orari fissi e alle regole del magnaccia, Montaldi osservava che mancava nella narrazione il senso collettivo: "la prostituta non dice mai 'noi', dice 'io', prostitute sono sempre le altre... il mestiere, per l"io', ha un carattere contingente e finirà presto".
Opposto il tono di Carla Corso; non tanto per l'indipendenza nello stabilire luoghi e tempi del lavoro (e nel rifiutare la "protezione" di chiunque) quanto per l'uso frequente di una prima persona plurale riferita a vari soggetti. Può essere il gruppo di mestiere: "noi siamo disposte a tutto per difenderci", "noi facciamo cinque o sei clienti se è una giornata pesante"; o quello attivo sindacalmente: "noi come gruppo di prostitute siamo state le prime a sottoporci volontariamente a uno 'screening' di gruppo"; "ci siamo impegnate", "siamo in contatto col movimentò internazionale" (la narratrice è infatti presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute e ha partecipato all'esperienza del giornale fatto con l'aiuto di Roberta Tatafiore).
L'identità collettiva è sostenuta da un'individualità fortemente dispiegata, attraverso i moduli dell'autopresentazione popolaresca dell'identità data fin dall'inizio: "sono sempre stata molto trasgressiva". Il soggetto narrante resta sostanzialmente simile attraverso avventure di ogni genere: dalla fabbrica al night, dal rapporto col padre violento a quello con gli americani neri delle basi presso Verona, fino alla gestione del proprio corpo prostituito. Qui è ancora il linguaggio fermo, a dispetto di qualsiasi contenuto, che descrive precisamente le prestazioni e i piccoli trucchi per ridurne la fatica; ma il linguaggio è pronto a trasformarsi in riso per la burla ai clienti che si credono furbi e che invece vengono truffati e presi in giro dalla complicità di Carla e altre prostitute. Lo sguardo irridente non risparmia le intellettuali incontrate ai dibattiti, ansiose di fare anche loro l'esperienza del sesso pagato, o le femministe improvvisate, curiose di "vedere le puttane". E così ancora da gran teatro comico popolare la storia del matrimonio con Antony, americano nero e omosessuale, che finisce per convertirsi all'Islam; grazie alla sua figura di donna coniugata, Carla riesce ad affittare una villa con parco.
Ha fatto bene Sandra Landi ad accogliere con discrezione, come scrive, questo tono della tradizione di piazza, senza tentare di forzarlo verso l'intimismo o la confessione. Tuttavia si sarebbe voluta una qualche indiscrezione dell'intervistatrice: su se stessa, su quali domande ha posto, soprattutto nella seconda parte, su quali sollecitazioni l'intervistata ha eluso, sul molto lavoro che Landi dice di aver fatto sul testo integrale. Soprattutto si vorrebbe vedere all'opera l'interazione tra le due donne, senza preoccuparsi che il lavoro sia "più scientifico e meno emotivo"; anzi qui la sola scientificità possibile è quella di esplicitare le emozioni, e di mostrare che le attrici della messa in scena sono due, anche se una ha il ruolo di fare da spalla alla primadonna e nel resoconto finale la sua presenza è troppo discreta.
Sul piano storico, accanto alle differenze, colpiscono le continuità che caratterizzano la prostituzione attraverso luoghi e tempi diversi. Anche a Plymouth e Southampton nella seconda metà dell'Ottocento, ci ha insegnato Walkowitz, vivevano prostitute imprenditrici di se stesse, ma non abitavano mai da sole; vivevano con la famiglia o con l'amante o con i figli o con amiche, all'interno di un'importante sottocultura femminile di sostegno; erano state reclutate al mestiere da altre donne, con procedure di iniziazione e apprendistato trasmesse da una generazione all'altra. "Ritratto a tinte forti" conferma tutte queste caratteristiche. Diverso è invece il livello di professionalizzazione, giacché quelle prostitute inglesi vivevano in osmosi con la classe operaia, alternando periodi in cui non esercitavano il mestiere; anzi vennero sospinte in un gruppo a parte proprio dalla legislazione vittoriana. Il più delle volte si trattava di quell'essere prostituta "tra l'altro", documentato anche per l'Ottocento italiano dal fascicolo di "Memoria" dedicato a questo tema (17, 1986). Un altro drammatico elemento di continuità è costituito dalle condizioni di vita della prostituzione più povera, quella che Montaldi chiamava "disorganica", "lo strato estremo delle donne immigrate già decadute da posizioni sociali minime" ("Milano, Corea"). Viste da Carla Corso oggi, "le prostitute di colore stanno proprio rovinando il mercato ormai fiorente" e "devono imparare a lavorare perché non lo sanno fare", cioè non sanno difendersi, non conoscono n‚ i loro diritti n‚ forme di solidarietà con le colleghe.
Al calore e alla vivacità con cui Carla Corso ha raccontato a Sandra Landi il suo passato e il suo presente si contrappone la stereotipia con cui accenna al futuro: "un buco nero... sono terrorizzata" (forse in risposta a una domanda). Il futuro è assente, le vicende rocambolesche non smuovono l'identità data dall'inizio. Ci resta l'immagine di Carla e della sua amica Pia con i loro cani, "una famiglia con tanto di ruoli", al centro di un rutilante mondo di clienti, con le loro miserie e a loro volta le loro famiglie; sullo sfondo il padre ottantenne, ancora e sempre di successo "con le sue vedove". Dalla cura della polveriera, sulla Pontebbana, l'ironia si estende e illumina un pezzo d'Italia, con antiche caratteristiche che si prolungano indefinitamente nel tempo, ma senza più l'illusione sessantottesco-femminista di un futuro come cambiamento profondo o rinnovamento radicale. Trasgressione e conservazione, emancipazione e oppressione si coniugano nella peculiarità storica che anche in questo campo sembra toccare al caso italiano e al suo ambiguo rimescolamento di arcaismi e modernità.
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