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Quando Giuseppe Gioachino Belli, nei suoi sonetti, se la prende con "li Prelati e li Cardinali" che "rinnegheno Iddio, rubben' e fotteno", trasformando Roma ne "la stalla e la chiavica del monno", si richiama a un filone anticlericale ben più antico dell'anticlericalismo politico ottocentesco. Questa tradizionale polemica "contro gli ecclesiastici e contro Roma", legata alla satira medievale antifratesca e alle lotte fra Guelfi e Ghibellini, in Italia vive un momento di straordinaria vivacità negli anni della grande crisi politico-religiosa del primo Cinquecento. Si diffonde rapidamente in questo periodo una letteratura popolare fatta di versi e prose ("cartelli infamanti", "libelli famosi"), ma anche di immagini ("vignette satiriche", "carte dipinte"), lettere private e comunicazioni orali, "chiacchiere di piazza o private conversazioni", testimoniando la formazione di un'autentica "opinione pubblica" anticlericale. Anche se privo di "sfumature nazionali", il fenomeno ha molti punti in comune con la diffusione delle idee luterane in Germania e rappresenta nella stessa Italia, come suggeriva fin dal 1936 Delio Cantimori, un possibile aggancio con posizioni riformate.
Lo studio di Niccoli esplora questo repertorio con erudita precisione, ma anche con la scioltezza narrativa dei migliori storiografi. Il papato di Alessandro VI, Giulio II e Leone X, nella livida luce delle beffe e delle invettive, si trasforma così in una sarabanda di orrori e prepotenze. La celebrazione dell'onore dei pontefici e dell'alto clero, tanto importante nelle società d' ancien régime , si capovolge in un catalogo diffamatorio, mentre il "mito negativo" di Roma-Babilonia non ispira solo le popolari pasquinate in versi, ma anche i libelli satirici in forma di lettera inviata da Lucifero o Gesù Cristo al pontefice, e perfino il dialogo erasmiano Iulius exclusus e coelis .
La seconda parte del volume, esaminando gli sviluppi dell'infamia anticlericale negli anni successivi al 1517, permette di cogliere con chiarezza non solo l'intensificazione del fenomeno ma anche la sua interna metamorfosi. L'"asprezza crescente" della polemica s'incarna infatti nell'esemplare figura di Pietro Aretino, e in alcune violente provocazioni come l'osceno poemetto di Lorenzo Venier La puttana errante (ora edito a cura di Nicola Catelli, Unicopli, 2005). Ma è soprattutto la convergenza fra la satira italiana e la pubblicistica riformata tedesca a indicare il senso del mutamento: sull'esempio dei libelli ereticali, in Italia l'accento non cade più sull'irrisione del clero ma sull' indignatio e sulla proposta di radicale mutamento; mentre in Germania gli scritti italiani sono oggetto di "una lettura intensiva" e "distorcente", che li munisce di sfumature propagandistiche. Il "sostanziale esaurimento" delle pasquinate infamanti, nonostante un aspro ritorno di fiamma dopo la morte di Paolo IV Carafa nel 1559, è comunque segnato dalle censure del Concilio tridentino: trasformati in opuscoli clandestini e non più soggetti all'affissione pubblica, questi scritti possono condurre ormai al patibolo, come avviene a Niccolò Franco, processato dall'Inquisizione romana nel 1570.
Rinaldo Rinaldi
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