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Più che riflessioni "sulla" le definirei riflessioni "contro"; scritte in modo un po' prolisso, molto romanzate, con una impressionate abilità retorica e linguistica; è comunque valido perché obbliga il lettore (pro o contro che sia) a riflettere. Il testo è interessante ma presenta a mio avviso alcuni aspetti negativi: incentrato sulla Francia e la pena della decapitazione (nel finale per es ammette la pena se umanizzata con anestetico e partecipazione attiva del condannato); mi sembra confonda l'esecuzione con l'ostentazione della pena (all'inizio); il beneficio per la Eu della sua eliminazione è forse "viziato" da una visione che molto risente dei drammi di ww1 e 2 (lo scritto è del '57); impropria l'esplicitazione del rapporto crimine-alcolista e la responsabilità dello Stato che gli alcolici li vende. Le considerazioni dell'autore sono incentrate sull'emotività (l'attesa del condannato, l'angoscia della famiglia) e sulla psicologia (la pulsione a Thanatos insopprimibile, la morbosità come perversione del boia e malattia sociale eliminata sottraendo l'esecuzione alla pubblica piazza, omicidio premeditato di Stato); troppo pochi i riferimenti davvero sociali (pena estrema infitta spesso più in funzione del contesto sociopolitico che del reato vero e proprio); gli esempi reali portati sono un po' troppo casi estremi (strumentali?). Forse le parole migliori contro la pena di morte sono quelle (riportate) di J Graven, secondo cui i valori della società contemporanea (1952) non giustificano più la pena capitale introdotta (ed efficace) in un contesto molto diverso, antecedente non solo di secoli, ma a profonde trasformazioni sociali avvenute nei Sec XIX-XX.
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