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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 1993
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E molto interessante lo consiglio vivamente
Argomentazioni in parte anacronistiche ed invecchiate, dato che tutto il testo è basato sulle immagini (prettamente francesi) della ghigliottina e della decapitazione. Permane tuttavia tutta l'intelligente lucidità camusiana ed il rigore logico, come armi di un profondo sdegno. La conclusione: poiché non esiste innocenza assoluta, nemmeno può esistere una colpevolezza assoluta e quindi una condanna che non ammette ripensamenti.
La pena di morte (tuttora praticata in molti stati) è stata pacificamente accettata fino al XVIII secolo. Nei secoli, essa è stata giustificata da menti come quelle di Platone, San Tommaso, Kant, Hegel, S. Weil, Mann ed altri ancora. La stessa Chiesa Cattolica ha superato una sua precedente posizione possibilista solo nell’agosto 2018, riformulando il § 226 del suo catechismo. Il dibattito sulla liceità/opportunità di tale pena nasce con Beccaria (1764), ma la causa abolizionista non è, ancora oggi, universalmente accolta. Camus iniziò a scriverne nel 1957 (quando in Francia e in altri Paesi europei la pena di morte era prevista e praticata) su invito di Arthur Koestler, intenzionato a promuovere una campagna abolizionista. Ne nacque un saggio breve ma denso, ripubblicato nel 2018 da Bompiani con una pensosa e dotta introduzione di Gustavo Zagrebelsky, dove si spiega molto bene come cercare un presupposto ultimo, filosofico o politico, per sostenere la causa abolizionista, conduce ad impaniarsi in una inestricabile trama di contrapposte petizioni di principio, nessuna delle quali è risolutiva. Ma Camus una ragione non controvertibile forse la offre, quando scrive (p.94): “(Il) diritto alla vita, che coincide con la possibilità di riscatto, è il diritto naturale di ogni uomo, persino del peggiore (…). Senza questo diritto, la vita morale è assolutamente impossibile. Nessuno di noi, in particolare, è autorizzato a disperare di un uomo, chiunque egli sia, se non dopo la morte che ne trasforma la vita in destino, e consente allora il giudizio definitivo. Ma pronunciare il giudizio definitivo prima della morte, decretare la resa dei conti quando il creditore è ancora vivo, non spetta a nessun uomo. Su questo limite, per lo meno, chi giudica in maniera assoluta si condanna in maniera assoluta”. E’ il principio che Bobbio definì dell’emenda: anche il peggior criminale può redimersi. Ucciderlo, significa sbarrargli la via del perfezionamento morale.
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