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Riflessioni sulla pena di morte - Albert Camus - copertina
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Riflessioni sulla pena di morte

Descrizione


Questo pamphlet nacque come saggio da pubblicare unitamente a uno scritto di Arthur Koestler, promotore di una campagna per l'abolizione della pena capitale nel Regno Unito, intitolato "Reflections on hanging", che Manès Sperber aveva fatto tradurre in francese. Pubblicato nel giugno e luglio 1957 sulla Nouvelle Revue Française, il testo di Camus non rappresenta soltanto un testamento morale lucidissimo ma anche le domande e i dubbi di un intellettuale di fronte a un tema cruciale che non cessa di essere d'attualità.
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Dettagli

2018
Tascabile
7 novembre 2018
112 p., Brossura
9788845299483

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Luca
Recensioni: 5/5
Libri

E molto interessante lo consiglio vivamente

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Yole
Recensioni: 4/5

Argomentazioni in parte anacronistiche ed invecchiate, dato che tutto il testo è basato sulle immagini (prettamente francesi) della ghigliottina e della decapitazione. Permane tuttavia tutta l'intelligente lucidità camusiana ed il rigore logico, come armi di un profondo sdegno. La conclusione: poiché non esiste innocenza assoluta, nemmeno può esistere una colpevolezza assoluta e quindi una condanna che non ammette ripensamenti.

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Giancarlo Lupi
Recensioni: 5/5

La pena di morte (tuttora praticata in molti stati) è stata pacificamente accettata fino al XVIII secolo. Nei secoli, essa è stata giustificata da menti come quelle di Platone, San Tommaso, Kant, Hegel, S. Weil, Mann ed altri ancora. La stessa Chiesa Cattolica ha superato una sua precedente posizione possibilista solo nell’agosto 2018, riformulando il § 226 del suo catechismo. Il dibattito sulla liceità/opportunità di tale pena nasce con Beccaria (1764), ma la causa abolizionista non è, ancora oggi, universalmente accolta. Camus iniziò a scriverne nel 1957 (quando in Francia e in altri Paesi europei la pena di morte era prevista e praticata) su invito di Arthur Koestler, intenzionato a promuovere una campagna abolizionista. Ne nacque un saggio breve ma denso, ripubblicato nel 2018 da Bompiani con una pensosa e dotta introduzione di Gustavo Zagrebelsky, dove si spiega molto bene come cercare un presupposto ultimo, filosofico o politico, per sostenere la causa abolizionista, conduce ad impaniarsi in una inestricabile trama di contrapposte petizioni di principio, nessuna delle quali è risolutiva. Ma Camus una ragione non controvertibile forse la offre, quando scrive (p.94): “(Il) diritto alla vita, che coincide con la possibilità di riscatto, è il diritto naturale di ogni uomo, persino del peggiore (…). Senza questo diritto, la vita morale è assolutamente impossibile. Nessuno di noi, in particolare, è autorizzato a disperare di un uomo, chiunque egli sia, se non dopo la morte che ne trasforma la vita in destino, e consente allora il giudizio definitivo. Ma pronunciare il giudizio definitivo prima della morte, decretare la resa dei conti quando il creditore è ancora vivo, non spetta a nessun uomo. Su questo limite, per lo meno, chi giudica in maniera assoluta si condanna in maniera assoluta”. E’ il principio che Bobbio definì dell’emenda: anche il peggior criminale può redimersi. Ucciderlo, significa sbarrargli la via del perfezionamento morale.

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Albert Camus

1913, Dréan

Scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo e anarchico francese, importantissimo esponente dell'esistenzialismo. Albert Camus nacque in Algeria, dove studiò e iniziò a lavorare come attore e giornalista. Affermatosi con il romanzo "Lo straniero" e con il saggio "Il mito di Sisifo", raggiunse un vasto riconoscimento di pubblico nel 1947 con "La peste". Dal 1940 a Parigi, partecipò alla resistenza. Nel dopoguerra fu caporedattore del giornale "Combat". Nel 1957 ebbe il nobel per la letteratura (con questa motivazione: "per la sua importante produzione letteraria, che con chiarezza e onestà illuminai problemi della coscienza umana nei nostri tempi"). Morì in un incidente automobilistico, a Villeblevin. Fra i titoli più celebri di Camus...

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