«Questo è un libro di filosofia», scriveva Guido Calogero nel 1967 presentando la prima e quasi integrale raccolta dei testi del «Quaderno laico», la rubrica che tenne sul «Mondo» di Mario Pannunzio tra il 1960 e il 1966, anno di chiusura del settimanale. E subito aggiungeva: «Ma non è scritto al modo delle più consuete trattazioni filosofiche, esponenti per ordine i problemi nella loro connessione sistematica». Il metodo seguìto era un altro, più rapsodico. Partendo, di volta in volta, da spunti còlti a fior di cronaca – uno slogan, la «piccola pubblicità» matrimoniale su un quotidiano, una conversazione captata in treno, la morte di Marilyn Monroe, una mostra di bellezza canina – Calogero cercava «di far vedere come l’esigenza di orientarsi rispetto ad essi, sia per il giudizio da darne sia per il comportamento da adottare, dovesse di necessità sempre condurre, sia pure per vie molto diverse, a ritrovare e a utilizzare quegli stessi criteri di fondo, nella cui consapevolezza consiste appunto ciò che suol chiamarsi filosofia».)
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