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Anno edizione: 2019
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Leggendo Il primo dolore ho provato disagio: come uomo non pensavo che il processo naturale è segnato dal dolore, che va ben oltre la fisicità. Nel libro abbiamo due coppie diverse ma unite dall’attesa di un figlio. Sono due storie parallele narrate in soggettiva dalle due donne, entrambe al nono mese avanzato. La prima donna, Rosa, poco più che quarantenne, è redattrice di una rivista e convive a Roma con Andrea e ha con gli anni superato – o almeno così crede – un difficile rapporto con la madre, da cui si è separata per studiare a Roma. Agata invece è una gracile ragazza di bassa estrazione sociale e lavora come parrucchiera, moglie adolescente di Matteo. La coppia entra in scena scendendo in macchina da un paese di cintura dell’Etna, di notte verso l’ospedale, dove Agata deve partorire e dove il servizio sanitario lascia a desiderare. Agata sprofonda in uno stato di semi incoscienza, dove i ricordi emergono dal fondo e si stagliano come in un film. Purtroppo il neonato nasce morto. Ma una ragazza ha appena partorito e non vuole tenere il bambino. Non sapremo mai chi è, ma il neonato può essere adottato, e così tutto si sistema. Agata, stremata, acconsente. Rosa invece ha deciso di partorire in casa ma il dolore non cambia e la memoria corre indietro. Entrambe le donne, diverse per età, storia e classe sociale, sono quasi due parti della stessa persona, o almeno provano la stessa sofferenza fisica. Andrea ha l’idea di far venire di corsa la madre di Rosa pagandole il viaggio. L’incontro fra madre e figlia è un colpo di scena: non si vedevano da dodici anni e sul volto della madre sono visibili i segni del tempo. Tutto questo lo sappiamo dal colloquio con la figlia, che ora vedrà la madre in un’ottica totalmente diversa e crede di conoscerla. Ma lasciamo al lettore il piacere della lettura. Il bambino comunque in questo caso nasce vivo e vegeto. Costruito com’è in montaggio alternato, il romanzo ben si presta a diventare un film..
Agata e Rosa sono le protagoniste di due storie apparentemente distanti per età, ambiente, situazione familiare ma che hanno in comune quel 'primo dolore', quello della nascita che ti cambia la vita, della paura che ti assale, della forza che non credevi di avere, del dopo tutto da costruire. È un dolore sordo quello dell'abbandono, lancinante quello della perdita. Il ricordo di ciò che è stato, il desiderio di capire il perché tutto è successo, la fatica di andare oltre per perdonare e perdonarsi, per esserci quando il cerchio si chiude, per stringersi la mano, per guardarsi con occhi diversi....finalmente. Romanzo che accompagna il lettore verso l'epilogo attraverso il racconto delle due protagoniste per le quali Saverio e Andrea, i due uomini che vivono accanto a loro, assumono valenza e presenza totalmente diverse. Un percorso lungo per dare un senso al 'primo dolore', per riannodare il filo rosso della vita, ben rappresentato dall'immagine di copertina.
Leggere "Il primo dolore" di Melissa Panarello (La Nave di Teseo) è stata un'esperienza particolare. Nei nostri romanzi, usciti nello stesso anno, abbiamo trattato un tema simile, addirittura con la stessa costruzione della storia: due donne diverse le cui vite parallele finiscono per impattare. È stato molto costruttivo vedere come un'altra scrittrice ha affrontato la stessa storia, tra l'altro una scrittrice che stimo e di cui ho letto tutti i romanzi. Melissa, come me, alterna le storie delle due protagoniste per farci capire le loro vite fino al momento dell'incontro, ma le due storie vivono su piani temporali diversi che arriveranno a coincidere solo alla fine. Inoltre, sceglie di parlare in prima persona di Rosa e in terza di Agata e io, che credo molto nelle coincidenze e nei disegni delle stelle, ci ho visto come una piccola profezia, un'aderenza tra scrittore e personaggio. Una sensazione che mi è piaciuta molto. Ne "Il primo dolore" più che la maternità e la scelta di essere madre, il tema principale è proprio "la madre", che tra l'altro è ricorrente in molti suoi lavori. Melissa ha la capacità di raccontare "la madre" a tutto tondo, descrivendone quindi la potenza, ma anche le ombre, compiendo un'azione di smitizzazione che conduce alla nascita di una nuova figura, una nuova definizione di madre che ha un odore inconfondibile, quasi primordiale: "mia madre odora di pelle", è così che scrive, perché in fondo il ciclo madre/figlia è solo tornare all'origine di quello che siamo. Dentro a "Il primo dolore" si avverte la grande capacità dell'autrice di scandagliare; da tutti i suoi libri emerge un certo tipo di sensibilità in grado di raggiungere i punti più profondi. È stato una bellissima lettura, un viaggio, e lo consiglio.
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