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recensione di Colombani Giaufret, H., L'Indice 1995, n. 1
Nonostante la creazione di corsi di laurea specifici e di diplomi di traduzione, l'insegnamento universitario ha faticato non poco ad acquisire i concetti e i metodi della moderna traduttologia. Oggi, svincolata finalmente dalle norme della tradizione e della traduzione scolastica, ancora troppo spesso improntata a un ideale crociano che contrappone fedeltà, cioè calco sintattico, e libera rielaborazione, la traduttologia che si fa in Italia comincia finalmente a produrre gli strumenti didattici indispensabili. Mancava, dopo la pubblicazione del saggio di Margherita Ulrych per l'inglese ("Translating Texis. From Theory lo Practice", Cideb, 1992), un manuale utile a chi si prepara a tradurre da e in francese. L'opera di Josiane Podeur viene quindi a colmare una lacuna importante.
L'introduzione ripercorre sinteticamente le tappe che hanno segnato il percorso della traduttologia. Questa nasce nel secondo Novecento, delimitando il suo campo rispetto alla linguistica con Mounin e Nida per giungere con Vinay e Darbelnet a un approccio . descrittivo. Sebbene la "Stylistique comparée du franèais et de l'anglais" fornisca la struttura generale dell'opera di Podeur, essa si nutre della ricchissima riflessione dell'ultimo ventennio che, in particolare in Canada e in Francia, sfrutta il notevole contributo della linguistica testuale e focalizza l'analisi sul processo traduttivo, analisi che fornisce strumenti idonei all'insegnante. La traduttologia elabora le sue strategie tra inevitabile empirismo (bricolage) e scienza. Il primo obiettivo è quello di cogliere "le costanti che regolano [i] passaggi di senso e di forma nella traduzione dall'italiano al francese" e viceversa. Il materiale è costituito da un repertorio di testi di prosa, per lo più letterari, dei due ultimi secoli con l'aggiunta di "avvisi prammatici, testi tecnico-scientifici..., fumetti e annunci pubblicitari".
La prima e più ponderosa parte del saggio è quindi la descrizione delle costanti traduttive nei due sensi, colte attraverso l'analisi di un corpus di traduzioni di 56 testi che spaziano da Flaubert a Pennac e a Goscinny per la Francia, da Manzoni a Pasolini e a Rodari per l'Italia. Questa parte è strutturata in quattro capitoli, dedicati ai procedimenti traduttivi identificati da Vinay e Darbelnet, ossia la trasposizione, la modulazione, l'adattamento e la trascrizione. Con la trasposizione si sostituisce una parte del discorso o una categoria grammaticale con un'altra. Appare così la predilezione del francese per l'uso del nome, per il rigido ordine progressivo della struttura frastica, per i costrutti parattatici e per la forma attiva laddove l'italiano si caratterizza per l'uso frequente del verbo o dell'aggettivo, dell'ordine regressivo della proposizione, dei periodi complessi, della forma passiva. La modulazione non è solo un fatto formale, come il precedente, ma rivela una diversa percezione del reale. Si rende necessaria nella traduzione dei clichés, delle locuzioni. Si pone qui il problema della traducibilità delle figure retoriche. Largo spazio è dedicato alla metafora ma non sono trascurate la metonimia e la sineddoche, con la sua variante, l'antonomasia. L'adattamento permette, con un gioco di equivalenze socioculturali, di rendere intelligibile la specificità semiotica di elementi della vita materiale (vedi panettone/biscuit), sociale ("Totocalcio/P.M.U."), religiosa ("La Befana/les Rois"). Le specificità meno facili da adattare sono quelle linguistiche, giochi di parole, 'calembours', testi in vernacolo o in 'argot'. Josiane Podeur si sofferma giustamente sulle possibili soluzioni (vedi la traduzione di Eco per "Exercices de style" di Queneau e quella francese di Bonalumi per "Quer pasticciaccio brutto" di Gadda). La trascrizione, uso del forestierismo o del calco, dà modo di trattare in modo esauriente il problema della traduzione o meno dei nomi propri.
L'appendice raccoglie 14 testi italiani e 14 francesi, ciascuno con la relativa traduzione: eccezion fatta per Flaubert (sono presentate tre traduzioni) e Manzoni (quattro). Segue la bibliografia, che è ricca, anche se non sono citati alcuni pertinenti lavori di contrastiva, in particolare quelli di Arcaini, Berni Canani, Bidaud, Ferrario e Merger.
Al termine della lettura rimane la curiosità di sapere perché alcune citazioni di testi francesi sono state tradotte dall'autrice senza che il fatto sia menzionato, e altre (anche inglesi) no. È comunque una pecca veniale, così come il credito talvolta eccessivo concesso ai traduttori citati, che da esempi finiscono col diventare modelli.
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