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Pescirossi e pescicani - Sandro Di Domenico - copertina
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Pescirossi e pescicani

Descrizione


Napoli, 11 agosto 2011. Un piccolo peschereccio viene travolto da una nave mercantile durante una battuta di pesca. In un'estate torrida un giornalista alle prime armi, tra i pochi a non essere andato ancora in vacanza, viene incaricato di seguire il caso che si chiuderà con la condanna dell'unico pescatore sopravvissuto. Dietro questa tragica fatalità il giovane cronista intuisce però un nodo di reticenze e di ombre, e da allora l'attività dei colossi del mare non smette di ossessionarlo. Continua a indagare per suo conto, a mettere in relazione nomi, luoghi e testimonianze, ad allineare una lista impressionante di incidenti. La sua agenda si riempie di date. Un'altra sciagura sulla costa livornese, una retromarcia sbagliata al porto di Genova che fa crollare la torre dei piloti nel 2013, un incendio sotto il faro di capo Santa Lucia in Sudafrica, davanti alla spiaggia di un parco naturale che tutela ippopotami, coccodrilli e 115 specie diverse di uccelli acquatici, altri episodi insoliti ad Alessandria d'Egitto o lungo le coste della Calabria. Manovre errate, imbarcazioni in fiamme o in panne, spaventosi disastri ambientali con una matrice comune: tutte le navi coinvolte si chiamano Jolly. Da un incidente di pesca all'apparenza banale si dipana così una rete sommersa di traffici e interessi che ci informa sui guasti e i danni di un intero sistema economico in avaria: la circolazione mondiale delle merci, lo smaltimento abusivo dei rifiuti, l'incessante andirivieni di fusti chimici, tossici e radioattivi. "Pescirossi e pescicani" è la storia di un'inchiesta, ma anche di un personale apprendistato.
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Dettagli

2020
8 ottobre 2020
144 p.
9788833891934

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Marco Di Bello
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«Il giornalista è lo storico dell'istante», sosteneva Albert Camus. E se ogni bravo giornalista di questa bella quanto disgraziata terra fosse messo in condizioni di raccontare quel breve lasso di tempo che gli è concesso, forse, saremmo in un altro paese, in un paese migliore. Questa, però, è l'Italia e dove i giornalisti si trovano sempre più spesso messi in condizione di concentrarsi su altro. Non è il caso, per fortuna, di Sandro Di Domenico, giovane cronista napoletano, che, quasi per caso, si imbatte in una storia solo apparentemente secondaria. Il libro è un omaggio a una professione, quella del giornalista, che va sempre più scomparendo, ma di cui vi sarebbe sempre più bisogno. Non solo. L'autore, nel raccontare il suo percorso da giornalista, riesce a contestualizzare storie solo apparentemente lontane fra loro eppure così intimamente connesse. Storie di misteri italiani, di intrighi, di scandali tenuti nascosti nei meandri della burocrazia, incidenti misteriosi, rifiuti che vanno da un estremo all'altro del Mediterraneo e che, spesso, scompaiono chissà dove. Un lungo filo rosso, in cui l'autore inciampa, ma dal quale sa riannodare i capi, arrivando a trarre una conclusione amare, ma necessaria: il mondo è abitato da tanti "pescirossi", chiamati a far girare le ruote dell'ingranaggio, e da molti "pescicani" che quelle ruote le governano anche al costo di mangiare i primi.

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Voce della critica

«Non è stata una grande stagione quella degli ultimi vent’anni per quanto riguarda il giornalismo in Italia. Specie per la capacità di inchiesta». E per il destino di molti giornalisti, verrebbe da aggiungere, un mestiere in via d’estinzione, finale a cui hanno contribuito gli stessi attori protagonisti, insieme a derelitti o incapaci capitani d’impresa. La citazione riportata fra virgolette è tratta da Patria 2010-2020, un libro edito da Feltrinelli, scritto da Enrico Deaglio, uno per dire che tra la fine dello scorso millennio e l’inizio di quello in corso, ha realizzato una fantastica impresa, col suo Diario della settimana, periodico che costituiva un appuntamento imperdibile per tanti in edicola (l’edicola, ricordate questo luogo preistorico, adesso sommerso da giocattoli di plastica?). L’analisi di Deaglio è una pietra tombale per il giornalismo che indaga temerariamente, ma ci sono le dovute eccezioni, spiragli in certi giornali di carta stampata (ricordate i giornali di carta stampata, quegli oggetti che adesso – causa pandemia – non si trovano da sfogliare nemmeno al bar o dal barbiere?), approfondimenti televisivi in orari atroci, chicche in Rete. E poi c’è un libro, pubblicato da MInimum Fax, che ha avuto come editor un bravissimo scrittore (Fabio Stassi), ed è opera di un giornalista vero, di uno che può urlare a gran voce di fare il giornalista ancora oggi, nell’Anno del Signore 2021, e di amare ancora questa professione. Non capita a tutti.

A lui, il campano Sandro Di Domenico, autore di Pescirossi e pescicani (139 pagine, 15 euro), è capitato perché ci ha creduto, perché non si è fermato dinanzi a difficoltà oggettive e ad angherie, non si è lasciato intimorire da silenzi, omissioni, morti sospette, mancanza di fondi (servono anche soldi, per fare il giornalista a certi livelli, per andare in certi luoghi, per parlare occhi negli occhi con le persone), si è lasciato trascinare dal culto della verità, dalla caparbietà. Ha indagato per anni mari vicini e lontani, ha riannodato fili e peripezie, scovato analogie e corrispondenze, raccolto testimonianze e frasi smozzicate, si è fatto certamente qualche nemico. Un volume snello, quello di Di Domenico, frutto però di parecchi anni di indagini, con articoli e documenti scartabellati, con protagonisti raggiunti, e con un filo rosso, navi cargo della compagnia Messina, tutte chiamate Jolly. Un’inchiesta in cui Di Domenico punta il dito contro il traffico e lo smaltimento di rifiuti speciali, che avvelenano le vie dei mari e degli oceani, porti italiani e internazionali. Tutto inizia nel 2011 quando un peschereccio di Torre del Greco è affondato, vicino Ischia, da una di queste navi: perdono la vita un padre e un figlio.

Incidenti e naufragi, scoprirà Di Domenico, si susseguono da anni, ineluttabilmente, in acque italiane e ai quattro angoli del mondo. Le tessere del puzzle si avvicinano una alla volta e il quadro è spaventoso; le pennellate sono motori in avaria, speronamenti e barche arenate, manovre rovinose e crolli (straziante il racconto di quello della torre piloti del porto di Genova, nel 2013, con 9 vittime), ma soprattutto rifiuti tossici portati indebitamente in giro da attempate carrette del mare (mezzi su cui non si investe, in cui la sicurezza è un optional), disastri ambientali dalle coste del Sud Africa a quelle della Calabria. Scrive senza sfoggiare stile, Di Domenico, perché la differenza la fa la sua passione, la stessa che trasmette al lettore, che si mette al suo fianco, a caccia della verità, tra atti giudiziari e container “avvelenati”.

Pescirossi e pescicani è (anche) la storia di un apprendistato professionale – non ci sono concessioni biografiche se non quelle legate al mestiere – è un requiem per quanti accettano che le storie da prima pagina scivolino lentamente verso le pagine interne, senza un pizzico d’intuito, senza procurarsi le fonti, senza fermarsi a guardare, riflettere, capire cosa c’è oltre nomi e situazioni, senza cogliere sprazzi di umanità, senza produrre empatia. È la ricerca delle responsabilità di quelli che non si fatica a chiamare criminali. Ed è l’impietoso resoconto di un sistema dei mass media accartocciato su se stesso, in una crisi che forse si può rallentare, ma non fermare. Molti giornalisti si fanno poche domande e non possono, non vogliono, andare oltre la superficie. Questo libro dimostra che il contrario è possibile. Sarebbe bello che il freelance Di Domenico (Nino Femiani il suo mentore, appare anche nelle prime pagine) avesse una scrivania e certezze, dopo tanta gavetta. Ma se le avesse magari non potrebbe fare quello che fa adesso, benissimo.

Recensione di Salvatore Lo Iacono

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