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Anno edizione: 2020
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Nel 1927 il dottor Vladimir Bomgard pubblica il diario del collega Sergej Poljakov, morfinomane, che glielo ha consegnato dieci anni prima in punto di morte. Bomgard ritiene, infatti, che le annotazioni in esso contenute possano essere di utilità alla scienza. La vicenda si riallaccia alla raccolta “I racconti di un giovane medico”, che narra gli esordi di Bulgakov nel 1917 in una sperduta condotta della Russia rurale presso il confine dell’attuale Kazakistan. Per evidenti ragioni di opportunità l’autore parla per interposta persona, ma la storia è autobiografica, perché Bulgakov era morfinomane, una dipendenza acquisita inizialmente x curare una dolorosa allergia. Negli anni ’20 del ‘900 l’uso degli oppiacei era diffuso tra la borghesia e non era reato. Bomgard, alter ego di Bulgakov, ha ottenuto il trasferimento in una città più grande, raggiunta dall’energia elettrica, con un ospedale attrezzato, cinque medici, infermiere, farmacia e laboratorio. Vladimir è pediatra: con sollievo non è responsabile di ogni emergenza, ha turni di riposo e non è tenuto alla reperibilità continua. Riceve una lettera dal dottor Poljakov, suo compagno di università e successore nella condotta, che lo prega di recarsi da lui perché è gravemente ammalato. Troppo tardi. La descrizione della dipendenza dal farmaco è essenziale, lucida, stringata: Sergej, con la scusa di un attacco di spasmi addominali, lo assume x dimenticare l’abbandono della sua donna, cantante lirica, convinto di poter smettere in qualsiasi momento, forte della professione medica. E’ una lucida analisi della dipendenza, da droga o da alcol: il timore di essere scoperti, l’astinenza e la brama di procurarsene, il tentativo e il rifiuto della disintossicazione, il furto, la convinzione di poter lavorare e interagire con altri in modo normale. Ho avuto difficoltà a trovare questo racconto, perché la droga è un tabù, ma è interessante x i non addetti ai lavori, imperdibile x chi, come me, ha lavorato in campo medico.
Libro davvero particolare,non una storia romanzata bensì un diario che racconta la decadenza di un essere umano a causa della sua dipendenza.Lettura che fà riflettere consiglio vivamente.
L'incipit è talmente bello da arrestare da solo ogni continuazione. Si resta a riflettere su quelle due righe d'inizio come su una sentenza elementare che ognuno di noi non calcola e non nota nel suo indirizzo di giorni, e che invece agisce sotto le nostre suole simile a una luce pacifica che ci permette di andare avanti: ""Le persone assennate si sono accorte da tempo che la felicità è come la salute: quando ce l'hai, non ci fai caso". Mentre la leggiamo dunque prendiamo coscienza di quanto poco assennati si sia stati nel non far caso a quest'ammonimento. E questo perchè accade di frequente, in una sequenza di giorni lungo la quale il bene scivola sotto altri massi, che appunto - senza accorgercene - riusciamo a sostenere proprio perchè stiamo bene. Un gioco semplice, ma a nostra insaputa, poveri ignari come siamo ad avere in tasca salute e forza e in fondo smarrirci in tante infelicità da nulla. Non a caso Bulgakov mette le mani avanti e ci ammonisce, prima poi di andarsi a perdere in un racconto di impatto magnifico. Perché tutta la bellezza la fascinazione è qui: un uomo che assume della morfina e che pian piano si rende conto che ha sbagliato e vuole tornare indietro. Brani di diario scavati in una psiche che sa bene cosa sta vivendo, sa cosa sia la demoniaca dipendenza e non riesce a staccarsese pur dentro violenze dure. Un'aria di sforzo responsabile non basterà a tamponare un finale, nel quale si è di colpo alzata potente nella mia memoria quella frase dello stesso Bulgakov nel Maestro e Margherita: "La scienza ci abbrevia la vita, che è già breve di suo" (se pensiamo che l'autore era medico possiamo solo inchinarci all'onestà di questo j'accuse). Un'amarezza affidata a brani di diario permetterà di seguire il tragitto di Poliakov, sfortunato protagonista. Come un ritaglio perfetto nell'arabesco di questo scrittore incredibile, si esce dalla lettura smarriti in una tenerezza rattristata. Non ci accorgiamo delle cose che quando queste ci lasciano.
Recensioni
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