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“Chiamatemi Ismaele. Tutte le volte che mi assale la malinconia, tutte le volte che mi andrebbe di gettare in terra il cappello alla gente, tutte le volte che mi scende nell’anima come un novembre piovigginoso, allora decido di mettermi in mare”. Quale incipit più sublime? Ma in mare c’è il Capitano Achab, che si insinua in noi, e ci fa essere spietati per navigare nel mondo della vita, nella quotidiana lotta per la sopravvivenza. Achab è nel meccanismo paranoide che ci autoconvince che la colpa del male di vivere sia fuori da noi nel mostro fantasmatico dell’IO che prende forma di balena bianca. E per tutta la vita inseguiamo la “nostra” Moby Dick, sperperando il nostro tempo, disperatamente convinti di realizzare il nostro destino, per poi capire, forse troppo tardi, mentre finalmente al termine della corsa conficchiamo il rampone nelle carni maledette, che quelle carni sono le nostre carni, che quel mostro lo avevamo dentro la nostra anima, alimentato dal peccato più sciocco e banale: illuderci, come Giona inghiottito dal Pesce, di essere signori e padroni della nostra e delle altrui vite. “E’ una giornata tranquilla, Starback, e un cielo di un azzurro dolcissimo….perchè questa follia della caccia, questo ribollire del sangue, questo bruciare della fronte, perché spossare il braccio al remo, al rampone, alla lancia..mi sento vecchio Starback …e prostrato…Ma è un giorno tranquillo e un cielo dolcissimo” dice Achab in un istante di struggente, infinita nostalgia, ricordando l’innocenza della vita vissuta precedentemente all’evento tremendo che ha dato inizio alla caccia al mostro della mente..Allora forse si poteva rompere il meccanismo circolare maligno e distruttivo che si ripete inesorabilmente da che l’uomo ha cominciato a fare memoria delle sue miserie. ”Uno solo sopravvisse, per raccontare la storia”, è la conclusione del libro e del film. Erman Melville, Ray Bradbury, John Huston, Gregory Peck, Orson Welles, Richard Basehart, Leo Glenn. Mamma mia che film!
Se avete una buona dose di spirito dell'umorismo anche nelle situazioni piu' avverse , se la storia vi sta trascinando da ambe due le parti del grande mare , se siete stanchi di nuovi effetti speciali e amate la buona letteratura , gustatevi questo capolovoro . Insuperabile Orson Welles , bravo ed insolito Gregory Peck . Attuale , piu' delle notizie del tg1 . Non solo per ragazzi . Ma anche per intellettuali navigati e naufraghi amanti della natura . Come antropologi , psicologi e sociologhi . Farebbero meglio a rileggere e rivedere questo capolavoro . Giuliano
Melville e Huston descrivono l’eterna lotta tra il Male e il Bene. Ma resta da definire se il Male è la balena, ossia la natura, che non vuole soccombere, o il capitano che la vuole uccidere, senza risparmio di rischi e di mezzi, per celebrare il proprio personale trionfo. Ciò che determina la risolutezza del capitano è il mito dell’imprendibilità della balena bianca. E’ una sfida che la rivoluzione industriale sta per rendere possibile, ma il capitano vuole riuscirci quasi da solo. E’ una guerra senza compromessi, dove l’uomo non vuole addomesticare il nemico designato, né umanizzarlo, ma distruggerlo, per affermare il primato dell’uomo tra tutti gli esseri viventi esistenti. Resterà solo un uomo in vita, come se fosse stato scelto dalla stessa balena, quale prova vivente e testimone della morte di Achab e tutto il suo equipaggio. Come tutte le grandi storie si presta a varie interpretazioni religiose e sociali, ossia una utopia e i suoi catastrofici effetti. E’ estendibile ad ogni situazione che vede l’uomo al cospetto di una forza a lui superiore. L’utopia è figlia del dolore e della disperazione, che a volte sono fecondi di benèfici effetti morali, artistici e filosofici. Ma ciò accade di rado. Quella balena è bianca e questo sinistro dettaglio cromatico eccitò nel biblico cuore di Achab un delirio di visioni metafisiche e il bravo cacciatore di balene si convinceva che aveva il dovere di vendicarsi ad ogni costo, accoppando quel candido simbolo del male. Per inseguire il suo fine, la distruzione del Male, Achab aveva bisogno di gregari e li trovò nei marinai del Pequod, la celebre baleniera. Per riuscire in questa impresa doveva infondere nell’equipaggio un po’ del proprio entusiasmo, destare in esso una confusa brama di redenzione e di gloria. Moby Dick è soprattutto una grande e possente tragedia, che ha stregato ogni genere di narrazione.
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