(Mantova 1491 - Bassano del Grappa 1544) poeta italiano conosciuto anche con lo pseud. letterario di Merlin Cocai. Nato da una nobile famiglia decaduta, fu battezzato come Gerolamo; nel 1508 si fece benedettino a Brescia, assumendo il nome di Teofilo; dal 1513 al 1516 perfezionò i suoi studi a Padova, che era stata la patria d’origine della poesia maccheronica (? maccheronica, letteratura). Nel 1524, per ragioni rimaste oscure, uscì dall’ordine e vi fu riammesso sei anni dopo, alla fine di un periodo di penitenza in romitaggio, prima presso Ancona, poi nella penisola sorrentina. Dal 1538 al 1542 fu mandato in Sicilia; al ritorno lo sappiamo nel Veneto, dove morì.Autore di scritti sacri (L’umanità del Figliuolo di Dio, un poema in ottave edito nel 1533; Atto della Pinta, sacra rappresentazione allestita nel 1537), di un poema in volgare su Orlando fanciullo, l’Orlandino (1526, dato alle stampe sotto il nome «furfantesco» di Limerno Pitocco), e del Caos del Triperuno (1526), storia autobiografica della vita conventuale, F. è conosciuto soprattutto per l’Opus maccaronicum o Maccheronee, le cui quattro redazioni, tra loro assai diverse (1517; 1521; 1539-40; 1552, postuma, note rispettivamente come ed. Paganini, Toscolana, Cipadense e Vigasio Cocaio), testimoniano dell’impegno con cui il F. coltivò questo genere, che a Padova, e in particolare nell’ambito goliardico, aveva avuto un suo attivo laboratorio già sul finire del Quattrocento e che specialmente con la sua opera perdette il carattere di esercizio parodistico estemporaneo per assumere quello più radicale di strumento di una lingua poetica nuova. È infatti l’espressionismo (o l’espressivismo) linguistico la cifra peculiare di F.: attraverso l’impasto raffinato della grammatica e della sintassi latina con la massa eterogenea di un lessico bizzarro, in prevalenza dialettale ma non privo di neologismi latineggianti, F. propone una visione anticonformistica e anticlassicistica della società e della cultura rinascimentale. Le Maccheronee contengono: la Zanitonella, che, assente nella prima edizione e sviluppata poi autonomamente per amplificazione delle due egloghe lì contenute, comprende componimenti diversi (elegie, egloghe ecc.) incentrati su un amore rusticano, quello non corrisposto di Tonello per Zanina; la Moscheide, poema eroicomico in 3 libri sulla guerra tra le mosche e le formiche, che si risolve quasi esclusivamente in chiave parodistica; una serie di epigrammi, e infine il Baldus, poema di 25 libri in esametri che narra le avventure di Baldo, figlio di Guidone e discendente di Rinaldo. La stravagante vicenda del Baldus, nel momento realistico della prima parte del poema e in quello più schiettamente fantastico della seconda, è occasione per costruire il carattere originalissimo di un personaggio secondo un procedimento che sfiora, e parodizza, l’agiografia: non più un eroe cavalleresco ma un giovane scapestrato, istintivo e ribelle, mosso da generosi sentimenti e da confusi ideali di giustizia e comunque teso alla conquista di una vera libertà e dignità di uomo. Il mondo rusticale di F. - nonostante il filtro volta a volta comico o idillico con cui è osservato, il non sempre equilibrato rapporto tra realismo e parodia, la natura visionaria di una scrittura e di una comicità che risultano insieme veristiche e deformanti - non si esaurisce affatto nella definizione di un oggetto letterario di ironia e di satira. È un mondo, al contrario, che si manifesta come compatta forza sociale, chiusa in quell’autonomo codice di violenze e di diritti che si giustifica con una tensione liberatoria di stampo «carnevalesco». Col Morgante di L. Pulci (dal quale F. trasse vari spunti) il Baldus influì sull’opera di Rabelais.