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Xavier Dolan, classe 1989, fin dal suo esordio dichiaratamente omosessuale, ha scritto a 16 anni "J'ai tué ma mère" ("Ho ucciso mia madre"), suo esordio alla regia, di cui è anche interprete principale. Cuore del film, largamente autobiografico, è il turbolento rapporto edipico tra il sedicenne Hubert e la madre Chantale. Il film sorprende per freschezza e vitalità: il giovanissimo regista dimostra di padroneggiare un proprio stile, con autorevolezza e con l'assenza di pudore che ne contraddistingueranno anche le pellicole successive. La compresenza di amore e odio per la madre causa l'irrequietezza e la furia, soprattutto verbale, di Hubert. A quest'ansia si lega un grande bisogno d'affetto, che viene frustrato dalla decisione presa dalla madre di mandarlo in collegio - proprio quando poco prima aveva espresso il desiderio di andare a vivere da solo in modo da avere un luogo da condividere in segreto con il proprio ragazzo. E' l'adolescenza in presa diretta, il punto di forza del film. Ciò che rende unico "J'ai tué ma mère" è la contiguità temporale fra background autobiografico e messa in scena. Dolan si coglie nel mezzo degli avvenimenti, con urgenza e apparentemente pochi filtri. In realtà, vedremo che di filtri distanzianti ne pone diversi: il fascino del film risiede proprio in questa bizzarra promiscuità fra autore e personaggio, Un coinvolgimento emotivo al contempo distaccato. Un risultato per raggiungere il quale non basta la sfacciataggine dell'esordiente, occorre padronanza del mezzo e occorre che le scelte linguistiche rispondano a esigenze espressive autentiche. Si consideri la messa in scena dei dialoghi a tavola: non classici campi e controcampi ripresi sopra le spalle, ma inquadrature in cui i primi piani degli interlocutori, seduti di fianco, sono fortemente decentrati per rimarcare la disarmonia o la lontananza emotiva. Il film rimane un manifesto cristallino del talento del canadese, un potenziale poi mostrato puntualmente nelle opere successive
L'inizio del prodogio Dolaniano. Un film girato da Dolan a nemmeno vent'anni che già mostrava tutto il suo potenziale e il carico rivoluzionario del suo cinema. Ha sicuramente qualche difetto in più dei suoi successivi lavori (lo dice lui stesso nelle interviste) ma resta il punto da cui partire per capire tuttta la filmografia di questo giovane regista.
Un "I quattrocento colpi" aggiornato agli anni 2000, che sorprende per la maturità espressiva, la consapevolezza del mezzo e l'assenza di narcisismo ed esibizionismo di questo autore- attore all'epoca diciannovenne.
Recensioni
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La freschezza, la vitalità e l'intensità stilistica di questa opera prima fanno presagire un futuro roseo per il suo regista
Trama
Hubert è un adolescente canadese cresciuto senza il padre, divorziato dalla madre e disinteressato delle sorti del figlio. Privo di un punto di riferimento maschile e agitato dalle pulsioni e dalle inquietudini tipiche della sua età, Hubert nasconde la propria omosessualità alla madre e sfoga su di lei il dolore represso, colpevolizzandola per non amarlo abbastanza.
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