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recensione di Giorcelli, S., L'Indice 1997, n.10
In questo ampio e impegnativo volume Giardina ripropone una serie di saggi frutto della sua ventennale ricerca, oltre a due contributi inediti che affrontano, in prospettive anche molto diverse, un tema caro all'autore e ancora oggi centrale nella riflessione degli storici del mondo romano. Occorre premettere, per evitare possibili fraintendimenti, che il concetto di "Italia romana" nell'elaborazione degli antichisti non identifica un organismo geograficamente coerente e politicamente definito. In realtà, nell'immaginario collettivo romano, l'Italia non esisteva, o meglio esistevano più Italie. Il concetto di Italia era infatti sottoposto a trazioni in vari sensi e direzioni, a seconda delle circostanze, in un sottile intreccio di tradizione e mutamento, ed era destinato periodicamente a ravvivarsi come strumento contingente nella lotta politica. È pur vero che le cosiddette "Laudes Italiae", alle quali viene solitamente attribuito un valore paradigmatico nella rappresentazione di un'identità italica unitaria culminante nell'età augustea, diffondevano l'idea della terra Italia come area geografica circoscritta e unitaria, pur riconoscendo una straordinaria e benefica varietà di situazioni geomorfologiche e climatiche, cui corrispondeva una pluralità di culture.
Ma ciò che unificava e dava spessore all'identità collettiva delle genti italiche, talvolta affini per discendenza etnica ma sempre diverse per tradizione storica, non era però la consapevolezza, generalmente accettata, di una "consanguinitas" spesso fittizia. La consanguineità era infatti sottoposta alla concorrenza di un sentimento più forte, quello dell'appartenenza civica, che trascendeva e superava un concetto geopolitico di fatto limitante come quello di Italia. La cittadinanza conferiva a ogni individuo che ne era provvisto dignità politica e identità personale giuridica, indipendentemente dalla località di origine e di residenza, creando nel contempo un'identità e un orgoglio collettivo che accomunava cittadini romani di ogni provenienza e che è gran parte della sostanza stessa del concetto di romanità. Di fronte all'appartenenza a Roma sancita dalla cittadinanza passano in secondo piano tutte le altre appartenenze di tipo etnico o geografico. In questo senso anche l'Italia intesa come insieme di uomini non aveva carattere e peso al di fuori della romanità.
Il primato dell'Italia era viceversa valorizzato rispetto al contesto provinciale su cui gravava tutta la pressione fiscale, anche se ciò non impedì, per ragioni economiche forti, che alcune regioni d'Italia divenissero oggetto di destrutturazione e drenaggio di risorse tipici del colonialismo provinciale più miope. Anzi, quando alle soglie dell'età tardoantica Diocleziano fece rientrare l'Italia nel novero delle province, la trasformazione, che aveva non poche implicazioni tributarie e fiscali, avvenne senza rumore, perché evidentemente per i grandi proprietari italici non esistevano più da tempo le condizioni di particolare vantaggio rispetto alle loro proprietà in territorio provinciale.
Lo stesso senso di superiorità nel I secolo d.C. veniva applicato nei confronti dei notabili provinciali, come si evince da quello straordinario dossier documentario costituito dalle tavole di Lione e dal parallelo passo degli "Annali" di Tacito, testi che sono centrali nella riflessione di Giardina. Nel 48 d.C. l'imperatore Claudio tenne un discorso per convincere i riluttanti senatori di Roma ad aprire i loro ranghi ai maggiorenti delle comunità federate della Gallia Comata. Alle obiezioni dei senatori che rivendicavano il primato dell'Italia, Claudio contrapponeva le ragioni politiche dell'integrazione, dell'assimilazione, del rinnovamento del corpo civico, della patria allargata - del "villaggio globale", diremmo noi - che non lasciava spazio all'affermazione dell'identità italica. Alla difesa di un ristretto ethnos italico, strumentalmente inalberato a vessillo, si contrapponeva il carattere concettualmente illimitato della politica romana dell'integrazione. Quando, poco tempo dopo, Claudio procedette all'ampliamento del pomerio, cioè quella linea sacra che separava l'Italia dalla provincia, non fece che ribadire il concetto per cui i confini dell'Italia coincidevano con quelli dell'impero di Roma.
L'idea di Italia come "una", con connotati specificamente geografici, conviveva quindi con una prospettiva centrata sull'individuazione di aree etniche ed economiche dotate di una loro individualità, e con un'ideologia politica e di potere che superava gli interessi di parte e di censo in favore di una prospettiva ecumenica. La conclusione fondamentale che suggerisce la lettura di questi saggi di assoluto rilievo è appunto che l'Italia, pur passando da un'unione di città-stato sotto l'egemonia di Roma a uno stato giuridicamente unificato in virtù del diritto e del potere imperiale, rimase in realtà un organismo disunito, in cui prevalevano tradizioni localistiche, interessi personali e, in età tardoantica, un generale disimpegno verso la politica dello stato. Giardina sottolinea come l'identità italica rimase incompiuta perché il processo di formazione non giunse, in età repubblicana, a un sufficiente livello di maturazione prima della costituzione del sistema imperiale e si trovò invece precocemente ingabbiato entro un movimento che lo trascendeva: "In altre parole, la spinta verso l'etnicità fittizia italica subì troppo presto la concorrenza dell'idea alternativa e più forte, espressa dall'impero". Solo in questo senso si comprende il termine "incompiuta" efficacemente posposto da Giardina al titolo della raccolta.
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