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recensione di Merlino, G., L'Indice 1996, n. 6
Che sono mai questi "Racconti Indiani" di Mallarmé che pure, tra "Les mots anglais" e "La dernière mode", ha dato prova di saper essere uno scrittore di circostanza?Sono un compito galantemente svolto per far piacere a un'amica molto amata?un esercizio di stile, un'operina gratuita, eseguita per riprendere fiato tra due alte stagioni poetiche; una squisitezza fin de siècle, come tante altre? un autopastiche? o addirittura un'"antologia fiabesca della sensualità mallarmeana" come ha scritto Jean-Pierre Richard?
Gérard Genette, in "Palinsesti" (1982), cita i "Racconti Indiani" come un buon esempio di "transtilizzazione non parodica" (un testo che non ha uno stile ne riceve uno), scartando così ogni interpretazione di questo libro come un autopastiche (auto)ironico e narcisistico.Questo è un primo punto interessante.Cominciamo, dunque, dall'inizio. Da dove nascono questi -"Racconti"? Lo narra con precisione Claude Cuénot in un numero del "Mercure de France" del 15 novembre 1938.
Nel salotto sovraccarico di bibelots (per nulla inclini, però, a s'abolir come ingiungeva la musa severa del poeta) e di dubbio gusto di una seducente e generosa cocotte - un po' Secondo Impero e un po' Terza Repubblica -, madame Méry Laurent, vorace collezionista di friandises, di gioielli e di celebrità in voga (tra i più amati: Manet e Mallarmé, del quale l'editore Gallimard ha pubblicato quest'anno le lettere a lei indirizzate; e poi Régnier, Coppée, George Moore, Reynaldo Hahn, Villiers de l'Isle-Adam, Whistler, ecc.), in quel salotto, dunque, uno degli ospiti, in una sera del1892 o forse del1893, sfogliando i "Racconti e leggende dell'India antica" (1878) di Mary Summer, osservò che quel libro, illustrato bene e riscritto en artiste, sarebbe stato di piacevolissima lettura. "Niente di più facile - replicò l'intraprendente demi-mondaine - lo faremo riscrivere da Mallarmé". E così, per galanteria, per divertimento, per amicizia o per debolezza ("je ne suis pas volontaire", diceva volentieri il poeta), Mallarmé scelse quattro racconti della Summer e li "transtilizzò"!
L'interesse di un lettore per questa riscrittura è duplice.Il primo è quello di ritrovarvi un catalogo tematico, allo stato puro, delle più costanti fascinazioni mallarmeane.Il secondo è quello legato al lavo-ro grammaticale, sintattico e lessicale prodigato da Mallarmé sul testo, piuttosto normalizzato, di Mary Summer. Sia Jacques Scherer, in un articolo apparso anch'esso sul "Mercure de France" nell'aprile del 1938, e sia Jean-Pierre Richard nel suo classico studio su "L'univers imaginaire de Mallarmé" (1961) hanno rintracciato ed elencato i temi cari al poeta e presentati nei Racconti con un'inattesa semplicità.Mi limito qui a riassumerli in luogo delle trame immemoriali dei racconti stessi, che destano nel lettore una curiosità minore di quella suscitata dalle manipolazioni di Mallarmé.
Il teatro e la danza - due forti predilezioni del poeta - sono richiamati in questo testo; l'uno è racchiuso nelle parentesi che hanno il compito di didascalie o di indicazioni di scena volte a completare il personaggio e ad aiutare il lettore; e l'altra - la danza - appare nelle immagini ricorrenti di festa e di riconciliazione che celebrano il lieto fine delle favole.Poi c'è lo charme- da intendersi come delizia e come minaccia - della fatalità e, con esso, quella propensione alla passività che caratterizza la vita dei personaggi e li fa passare da incontri involontari ad agnizioni imprevedibili, da incantamenti subitanei a metamorfosi irresistibili. Poi c'è la sensualità, ma nelle forme precise dello sguardo audace e rispettoso, della nudità anteriore al pudore, del voyeurismo casto, della preziosità del corpo decorato e dell'orientalismo nelle parures e nelle posture.Infine c'è l'intrecciarsi strettissimo dell'esperienza dell'eros con quella della morte e che occupa, ad esempio, l'intero racconto "Il morto vivente"; ma è un intreccio con il preciso senso per il quale l'amore trae dalla morte la propria maestà. Ricordate "Hérodiade"?
Quanto al lavoro di Mallarmé sulla materia verbale dei "Racconti e leggende di Mary Summer", le osservazioni si ripetono costanti - e a buon diritto - dal primo articolo di Cuénot, nel 1938, fino al minuzioso saggio di Guy Laflèche (1975) dedicato alla "grammatica generativa dei "Contes indiens"". Il succo, in breve, è questo: a una riduzione quantitativa del testo originario si accompagna un arricchimento del lessico.
Come viene ridotto il testo della Summer da Mallarmé?Anche le procedure stilistiche si manifestano qui in modo limpido: le frasi relative diventano epiteti, i sintagmi nominali diventano sostantivi, la paratassi - più concisa e più favorevole alla ricchezza sonora e ai prestigi dell'immagine - prevale sull'ipotassi, e con essa appaiono un penchant per l'asindeto e per ogni forma di condensazione della frase e un uso sperimentale, un po' arrischiato, delle preposizioni.Contemporaneamente, verbi e parole ad alta frequenza d'uso vengono scartati - in particolare c'è una persecuzione contro il verbo "essere" - e aumentano i sostantivi e gli aggettivi tematicamente più pertinenti; ma il preziosismo della prosa va cercato, forse, soprattutto nella posizione delle parole dentro la frase, nell'accanimento a trovare le mot juste, nell'avversione per il plurale (tutto sommato prevedibile in un poeta delle "essenze"), nel contenimento delle forme del verbo al solo presente o participio passato, ecc.
Dell'arduo sforzo del traduttore non si può che dir bene, ed è solo per amore di perfezione che si segnalano due malintesi.Il primo, a pagina 15, riguarda l'espressione "ce qu'il me tardait de te dire" che va tradotta "quel che non vedevo l'ora di dirti" e non "quel che tardavo a dirti"; il secondo, a pagina 87, riguarda la frase "ils fondent de la voûte céleste" che va resa con "piombano giù dalla volta celeste" e non "fondono la volta celeste".E poi "suppose" (p.26) è un presente dell'indicativo e non un passato remoto; "prunelles" (p.88) sono "pupille" e non zigomi, e "crispée" (p.96) significa "contratta" e non anchilosata.
I Racconti indiani, pubblicati nel 1927, dopo la morte di Mallarmé, e presentati qui per la prima volta in traduzione italiana, nascono sull'incerto confine che lega la riscrittura e la creazione. Le antiche leggende indiane, grazie al grande poeta francese, acquistano ancora più fascino e mistero, contemplando tanto la morbida curva della fiaba quanto l'ossessiva perfezione della lingua che si fa musica e sogno.
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