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È stato Luigi Firpo, nei suoi studi sulla Controriforma, a dare "una prima visione d'insieme della politica inquisitoriale e censoria della Chiesa romana verso la filosofia moderna ai suoi albori". Il graduale controllo del Santo Uffizio sul pensiero filosofico, dopo una prima fase di "repressione del fenomeno ereticale", comincia infatti nel tardo Cinquecento ed è ben radicato nel secolo successivo. In questo filone di ricerca il volume di Saverio Ricci si inserisce con eleganza, manifestando coerenza d'approccio e originalità nei sondaggi. L'autore incrocia abilmente le risultanze archivistiche (processi, censure, pratiche espurgatorie) e le indagini sull'Indice dei libri proibiti (l'evoluzione, la riforma, le proposte), tracciando un quadro complesso. Lo scontro fra l'aristotelismo scolastico dei censori e il pensiero antiaristotelico dei "novatores", ispirato a fonti più antiche o a possibili "concordie", non produce infatti "una radicale mancanza di comunicazione", bensì una serie di reazioni differenziate e diversamente sfumate sia da parte dei censori, sia da parte degli autori censurati, sovente costretti a revisioni o problematiche riformulazioni della loro filosofia. Non è allora un caso se questo volume, con le sue belle pagine sugli "affanni di Bernardino Telesio" e il calvario censorio di Francesco Patrizi, si apre su due splendidi capitoli dedicati a Montaigne. Gli Essais e l'Apologie sono infatti fra i testi fondatori della modernità, non solo in ambito filosofico: il famoso viaggio italiano di Michel de Eyquem, con i primi ambigui contatti fra il suo "tollerante scetticismo" e la macchina inquisitoriale, segna davvero l'inizio di un secolare dibattito fra ortodossia e libero pensiero, fino alle provocazioni dei libertini e alla problematica sfida di Pascal. Rinaldo Rinaldi
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