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Anno edizione: 2021
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Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto o visto qualcosa senza sapere che sarebbe stata l'ultima? Per Ale, diciassette anni, è quel pomeriggio a Torino all'uscita dalla palestra. Per Nicola, il medico che l'ha soccorsa, è stato trent'anni prima, ad Amsterdam, quando è inciampato in un dolore troppo grosso. E mentre Ale lotta in ospedale tra la vita e la morte, Nicola trascorre qualche giorno in una baita di montagna con vecchi e nuovi amici: giorni che hanno tutto il sapore del Grande freddo. Ci sono quattro uomini e quattro donne, in quella baita, e ci sono i loro segreti inconfessati. Ma i segreti e i ricordi, quando riaffiorano, non conoscono affatto le buone maniere.
Ale, diciassette anni non ancora compiuti, scontenta, viziata, confusa. Lo ha sentito benissimo il rumore del tram, quando ha spiccato un balzo verso le rotaie. E Nicola, il medico che l'ha soccorsa appena arrivata in ospedale, non riesce proprio a togliersela dalla testa, quella ragazza piú vicina alla morte che alla vita. Perché lo scudo professionale certe volte è di cartapesta, e anche la bellezza può essere un coltello che allarga le nostre ferite. Davanti a sé, adesso, ha un lungo week- end da trascorrere con la moglie Teresa a Chamois, a casa di amici. Un week-end come tanti, si direbbe. Cene, passeggiate, chiacchiere davanti al camino. Ma in quei pochi giorni, per lui e per tutti gli altri, il tempo subirà un'accelerazione e procederà in tutte le direzioni. Ognuno sarà costretto a fare un bilancio della propria vita e a portare allo scoperto i segreti che nasconde persino a se stesso. A catalizzare tutto, forse, l'ombra di Ale, e per Nicola anche un fantasma in carne ed ossa che viene dal passato: il suo vecchio amico Matteo che non vede dagli anni del liceo. Qualcuno proporrà un gioco innocuo per passare il tempo: ma sarà il tempo invece a passare su ognuno di loro. «Il gioco delle ultime volte» ha le sue regole: ciascuno deve raccontare l'ultima occasione in cui ha fatto o visto una determinata cosa o persona; valgono sia i ricordi veri sia quelli inventati. C'è chi parla di una casa in cui ha trascorso le vacanze da ragazzo, chi s'inventa (chissà perché) di aver nostalgia di un anello che non ha mai perso, chi si spinge piú a fondo. Come Nicola, e Matteo, che finalmente a notte fonda si troveranno faccia a faccia per continuare quel gioco da soli. Non si vedono da trent'anni: da quando ad Amsterdam, dove erano in vacanza insieme, Matteo aveva fatto a Nicola «uno scherzo» che li avrebbe segnati per sempre. Avevano 19 anni, quell'estate, erano i Dioscuri, i due gemelli divini. E «c'erano state volte, – pensa Nicola, – in cui l'intesa con Matteo gli aveva provocato una felicità cosí profonda da fargli desiderare che il momento si congelasse». Il lungo week-end finisce per tutti, ma se la vita è ciò che ci succede mentre, piú o meno accuratamente, nascondiamo i nostri segreti, forse presto per qualcuno le cose potrebbero cambiare.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un libro appassionante sulla casualità delle vita, le scelte che portano a conseguenze inaspettate, così come le non scelte. tematiche importanti quelle affrontate dalla Oggero: la crisi di coppia, le difficoltà degli adolescenti, i conflitti interiori.
Libro breve ma faticoso da seguire, visto che la voce narrante cambia ogni pochi paragrafi. Le premesse di rivelazioni di grandi segreti non vengono colmati. Non ci sono eventi stravolgenti che verranno svelati e le storie che si intrecciano su presupposti fragili, restano sconnesse. Sconsigliato.
Contenuto: una serie, interminabile, di ricordi rievocati grazie a un gioco, insito nel titolo. La trama lascia un po' perplessi e indolenziti, quando l'autrice si sofferma su troppi particolari. Tipologia lettore: nostalgico.
Recensioni
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C’è un filo sottile nel non detto di Ale, 17 anni, prima di muovere il passo che la porta sotto un tram di Torino, e i non detti di Nicola, il medico che al pronto soccorso presta per primo i soccorsi al suo corpo devastato dall’impatto, e Matteo, trent’anni prima suo migliore amico, che con lui si divideva l’appellativo dei gemelli divini e una bellezza che li faceva desiderare da tutte le ragazze del liceo.
Un filo chiamato vendetta, delusione, solitudine, rabbia, segreti, ricordi, incomprensioni.
Un filo chiamato scelta per una vita che potrebbe non essere più possibile se non portare indietro almeno consolare.
E il gioco che un gruppo di “amici” vecchi e nuovi che si ritrova in montagna per un weekend e che si trasforma in ricordi dolorosi e in silenzi con se stessi e con altri, il gioco del raccontare l’ultima volta che si è fatto qualcosa, è non solo ciò che dà il titolo al nuovo libro di Margherita Oggero pubblicato da Einaudi, ma anche la spiegazione impossibile di un gesto, un’azione, un pensiero.
“Il gioco delle ultime volte” è un romanzo di emozioni corali, di spezzoni di vita irrisolti, di ombre che arrivano inaspettate e riportano a galla domande, molte delle quali restano senza risposta.
Cosa ha spinto Ale ad andare incontro al tram in arrivo, cosa ha portato Nicola a non voler più avere a che fare con Matteo: un’azione ingiusta che sono convinti di aver subito, lei nei suoi 17 anni, lui nei suoi 19 ma di cui ancora si chiede perché trent’anni dopo, o l’incapacità di esternare un vuoto che gli altri non vedono, la convinzione di non potersi spiegare e di non poter dare spiegazioni alle loro famiglie e a chi li circonda?
Lo stile narrativo che caratterizza Margherita Oggero già nei suoi romanzi gialli ricchi di spaccati sociali è in questo libro presente e incalzante, si sposta da un punto di vista all’altro di tutti i personaggi, che siano centrali o comparse – che pur comparse non restano mai perché ciascuno ha un ruolo nei sentimenti degli altri -, fluttuando dalla terza alla prima, finanche alla seconda persona, come se il narratore fosse ora esterno, ora uno degli attori del romanzo, ora un estraneo alla vicenda che però così estraneo non è, visto che sa tutto e si rivolge a un personaggio specifico costringendolo a confrontarsi con qualcuno che solo apparentemente è altro da sé. Perché di quel “sé” sa tutto alla perfezione, come se fosse il suo alter ego.
“Confessare pensieri tenuti segreti per anni è rischioso per sé e per gli altri, non porta conforto, ma rimorso” (pagina 129): questo sembra essere il nodo centrale verso cui devono convergere le decisioni, o meglio, le scelte. E la confessione che porta con sé il rimorso può anche non essere confidata a un altro, ma a se stessi. La mancanza di conforto resta la stessa. Forse.
Perché un’ulteriore forza narrativa ed emozionale di questa storia, fatta di tante storie che a ben vedere, pur nella diversità delle vite, tendono verso un unico centro, è anche questa: la sospensione del sapere cosa viene dopo. Il dolore del sapere che trent’anni di silenzio per qualcosa che voleva essere uno scherzo, ma cela molto di più, è a volte più facile da superare che non il sentirsi soli a 17 anni.
E che l’ultima volta resta cristallizzata a lungo, anche se, alla fine, per qualcuno potrebbe rivelarsi non essere stata davvero l’ultima. Tutto sta a come un segreto decide di essere confessato. E se decide di esserlo, confessato.
Non si gioca con il fuoco: la morale delle storie che Margherita Oggero intreccia con maestria nel suo nuovo romanzo per Einaudi, Il gioco delle ultime volte (176 pagine, 18 euro), potrebbe banalmente essere questa. Niente di più scorretto per un’autrice che nel suo nuovo romanzo allestisce una vicenda quasi teatrale confrontandosi – e facendo scontrare i personaggi – con le domande e gli interrogativi scaturiti da scarti del destino avvenuti con leggerezza, quasi “per gioco”. Ale, adolescente finita sotto un tram e in fin di vita, Nicola, medico del pronto soccorso che la accoglie, disperata, e dalla cui immagine resta scosso durante tutto il weekend in baita con la moglie e coppie di amici. Due poli, due storie, due universi di affetti, relazioni e vite che ruotano intorno ad altre vite, scosse da avvenimenti in reciprocità, mai totalmente pronte a scartare davanti alla fatalità, apparentemente inconsapevoli dei giochi della mente umana.
Non è solo la storia di Alessandra, detta Ale, né di Nicola, quella de Il gioco delle ultime volte. È un libro corale composto da tasselli e storie, da voci e personaggi tra cui Margherita Oggero conduce un abilissimo intreccio di voci che scivolano dal discorso diretto all’indiretto libero creando pensieri e dialoghi in cui ritrovarsi e ricostruire intere esistenze e relazioni. Il lettore insegue i personaggi: entra nella testa di ciascuno, e di ciascuno conosce il lato segreto e la faccia pubblica, le parole dette e quelle tenute nascoste. Lo sguardo della narratrice è impegnato a cogliere le relazioni esterne, lo sguardo “degli altri”, ma lo abbandona in un viavai costante per ritirarsi nella dimensione intima e privata dei pensieri. È una tecnica che la Oggero fa propria con maestria, dando così spazio a un tema che aveva già sviluppato in uno dei romanzi gialli della serie con Camilla Baudino, la prof detective, Qualcosa da tenere per sé: ci sono cose che è bene dire, altre che è meglio tenere nascoste; aspetti che si possono sviscerare, altri che le persone scelgono di conservare solo nei propri pensieri. Al narratore indagare quali, e perché.
A Chamois, sedute intorno al tavolo sul terrazzino di una baita, non considerando Sheila ci sono sette persone con un notevole bagaglio di esperienze e la conseguente perizia nel nascondere sotto la superficie dell’urbanità i turbamenti provocati da emozioni impreviste. Quasi sempre, per fortuna, ma talvolta l’abitudine non basta.
Sensi di colpa, esiti nefasti di rapporti, retaggi educativi, desideri e deviazioni, disagi e fastidi: tra i frequentatori della baita, così come tra i personaggi che fanno avanti e indietro dall’ospedale, si tende un arco di emozioni esteso dentro il quale la Oggero scava senza mai giudizio ma, al contrario, con umanità vastissima. È grazie alla trama delle voci e punti di vista e, insieme, grazie a questa immersione nell’umano che di ogni personaggio del romanzo conosciamo lati limpidi assolati e facce più oscure e irrisolte. Una benzina per il motore narrativo, sapiente sguardo sul mondo e altrettanto saggia resa in forma di narrativa che fa socchiudere il libro dopo l’ultima pagina con un senso di appagamento raro, screziato da tanti pensieri, noccioli di riflessioni pronte da rimettere in circolo fuori dalla carta, nella vita vera.
Perché non facciamo il gioco delle ultime volte?
Lo domanda una delle giovani protagoniste durante il weekend in baita a Chamois, Valle d’Aosta, paese di montagna raggiungibile solo in funivia. Un luogo isolato dove ritrovarsi durante una tempesta di neve, spazio ideale dove accogliere i nodi arrivati al pettine, aspettando che accada qualcosa, che il movimento principale della storia prenda forma. Ha un che di teatrale la scelta di isolare le tante voci di questo romanzo – o almeno di una delle sue storie principali – in un luogo chiuso, una scelta capace di forzare gli sviluppi nati da una convivenza forzata, e dall’inaspettato incontro-scontro con una realtà del passato infilata a forza nel dimenticatoio.
Centrale, non a caso, è l’invito a fare il gioco delle ultime volte, un esercizio di teatro nato per sondare l’introspezione, ma che in realtà si inserisce nella vischiosa trama di chiari e scuri che ciascun personaggio cova dentro sé. E così, ingannatore, il linguaggio mistifica ricordi e finzioni restituendo narrazioni ibride: nessuno sa qual è la verità, nessuno vuole forse armarsi del necessario coraggio e fare la fatica di trovarla. Si sommano le voci e i pensieri in una commedia venata di noir, e così mentre a Torino una giovane vita lotta contro la morte in ospedale e intorno a lei si costruiscono e disfano esistenze, affetti e amori, nella baita valdostana sembra non accadere quasi nulla mentre in realtà linee di tensione si sovraccaricano in tanti dei diversi rapporti tra i personaggi, fino a fare luce.
La smagliatura del tessuto
«Nel tessuto di un ordinario venerdì compare una smagliatura, anzi un buco bello grosso»: è l’avvio del romanzo, la rottura di un equilibrio, un inciampo nel cammino regolare di tante vite che, all’improvviso, sfiorandosi si urtano, vacillano, cadono, sono stravolte o solo minimamente toccate dall’incidente del tram. La realtà scossa senza preavviso dal destino imprevedibile, o forse solo l’assurda messa in moto di finte casualità generata da un gioco adolescenziale? Sembra volerci far riflettere su questo tema la scelta di Margherita Oggero: sulla casualità delle nostre esistenze pigramente accomodate su faglie in movimento, adagiate su scuse utili, conformate all’esito di giochi di vendetta che, apparentemente sciocchi e inutili, arrivano a compromettere esistenze intere.
Certe cose accadono senza che ci siano colpe, le vite di tante persone s’incrociano a casaccio, per strada, su un treno, in un’aula universitaria, in coda alla posta, in discoteca, a un concerto, e milioni di volte tutto resta come prima o quasi, ma ogni tanto il meccanismo s’inceppa e succede che nell’asfalto c’è una voragine, che il treno deraglia, che un soffitto crolla, che dei cretini spruzzano lo spray al peperoncino.
Quanto è il fato, a creare imprevisti e situazioni, e quando siamo invece noi umani a generare movimenti e scrivere trame? Il caso, ed è la riflessione racchiusa nel cuore di questa doppia storia annodata da una drammatica fatalità forse non tale, trama un po’ da sé, un po’ istigato da leggerezze nefaste guidate, più che da distrazioni o mancanze, da scatti di volontà a cui piace giocare con il fuoco. Ma niente resta immobile una volta avviato il gioco: come un domino ben avviato, il congegno del destino fa cascare pezzi, altri ne travolge, dimentica il passato finché, tornato casualità incontrollabile, fa sfiorare esistenze, accadere cose, innescare storie maneggiando abilmente «tutte le incognite del possibile».
Recensione di Alessandra Chiappori
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