Nel centenario della nascita, esce in Italia l'autobiografia di Frankie Manning, probabilmente il più importante esponente del Lindy Hop e della danza swing, nonché uno degli ultimi testimoni diretti della Jazz Age (Manning è scomparso ultranovantenne nel 2009, due anni dopo l'uscita della prima edizione americana). Scritto a quattro mani con la ballerina e giornalista Cynthia Millman, sua allieva, il libro è il risultato di un lavoro di ricerche e interviste durato ben tredici anni. Un risultato brillante, come brillante può essere definita la straordinaria vita di questo grande ballerino e coreografo, che ha tracciato con i suoi passi la linea di un intero secolo, portando il ballo swing da Harlem all'Europa, al Brasile, all'Australia. Un destino profetico, quello di Manning e del Lindy Hop: già nel nome della danza è contenuto un riferimento al viaggio, visto che, come racconta lo stesso Manning, deriva dal popolare soprannome di Charles Lindbergh. Oltre a raccontare una storia fuori dall'ordinario, il libroha il merito di mostrare da un'altra angolazione un mondo che è stato spesso dipinto nelle memorie di altri protagonisti dell'epoca (ricordiamo quelle di Count Basie e Duke Ellington) che si trovavano però dall'altro lato del palco. È il mondo newyorkese del Savoy Ballroom, è il mondo dell'Apollo Theater, del Cotton Club. Ma anche della Hollywood degli anni d'oro: d'altro canto sono proprio i film (Hellzapoppin', Killer Diller) a fornirci le uniche testimonianze visive dirette del Lindy Hop originale.
Manning si avvicina a questo mondo come spettatore e ballerino dilettante, ma in seguito diviene vera e propria stella del palcoscenico più prestigioso, il Savoy, e del suo gruppo di ballo, i Whitey's Lindy Hoppers. L'importanza di Manning nella storia della danza jazz potrebbe forse essere paragonabile, per il suo impatto rivoluzionario, a quella di Charlie Parker nella storia del jazz tout court. Certo, si tratta di epoche e forme d'arte distinte: lo stesso Manning, tornato dal suo servizio nell'esercito americano durante la seconda guerra mondiale (vero spartiacque tra due Americhe molto diverse, non solo musicalmente) ammette di non essere riuscito, almeno inizialmente, a capire il bebop, né tantomeno a ballarlo. Ma la principale innovazione apportata da Manning, ovvero gli air steps, i passi acrobatici, sembrano contenere in nuce quella stessa logica del superamento dei limiti, dell'ascesa, del "volo", che è parte integrante dell'arte di Bird e dei boppers. La seconda parte del libro procede in tono minore (come del resto la vita del protagonista, costretto dalla crisi delle big bands del dopoguerra a ripiegare su un lavoro alle poste) e forse si sarebbe potuto dire qualcosa in più riguardo allo straordinario revival che il Lindy sta vivendo a partire dagli anni ottanta, grazie anche all'attività educativa di Manning nei suoi ultimi anni di vita. Ma è un neo trascurabile. Gli autori, grazie anche all'impiego di dettagliati e interessanti box di approfondimento, riescono a riportare alla luce alcuni importanti aspetti della dimensione coreutica del jazz della Swing Era. Una dimensione che è stata in molti casi, di pari passo con la progressiva accademizzazione di questa musica, colpevolmente trascurata. Per questo, in Frankie Manning Ambasciatore del Lindy Hop, si possono trovare, oltre ad una bella storia americana, le prime basi per un possibile nuovo approccio alla storiografia del jazz.
Simone Garino
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