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La filosofia e lo spirito vivente - Maurizio Ferraris - copertina
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Dettagli

1991
11 febbraio 1991
302 p.
9788842037309

Voce della critica


recensione di Gargani, A.G., L'Indice 1991, n. 6

In questi anni la cultura ermeneutica ha risvegliato l'interesse filosofico in Italia, da un lato riconducendolo ai vocabolari decisivi della sua tradizione storica e dall'altro collegandolo ai temi più urgenti del dibattito internazionale in corso. Ne è una prova esemplare questo splendido volume di Maurizio Ferraris che, attraverso un'analisi sottile, rigorosa e al tempo stesso appassionante, rilegge l'intera tradizione filosofica da Platone a Hegel, da Husserl a Heidegger, Derrida e Vattimo filtrandola attraverso la tensione inesauribile fra la certezza vivente, atemporale della coscienza e il dominio oscuro del segno e della traccia. Da una parte la concezione di una coscienza trasparente a se stessa nell'esercizio della voce e del discorso costituisce il grande mito filosofico della Grecia così come del fonocentrismo della fenomenologia husserliana; dall'altra l'elemento della scrittura, della traccia, del segno contraddistingue la caducità e la mortalità dei valori e dei significati nei quali gli uomini hanno investito la loro vita.
La prima alternativa si esemplifica in un sapere disegnato dal paradigma vitalistico di una ragione dispiegata di certezze consegnate alla presenza della coscienza a se stessa che risuona nell'attualità della parola e della voce, e in questa idealità dello spirito vivente Ferraris ritrova Platone, san Paolo, Descartes, Fichte, Hegel, Nietzsche, Husserl e perfino un certo Heidegger. Nella seconda alternativa Ferraris scopre il cono d'ombra che con i segni dell'assenza, del lutto, della lettera morta avvolge la cultura umana nei paradigmi influenti trasmessi dal romanticismo egizio, dalle pratiche antiquarie dell'erudizione alessandrina, dal lavoro del negativo e dalla dialettica tra segno e simbolo di Hegel, dalla concezione della verità come "svelatezza" che per Heidegger emerge da un fondo oscuro che è la mortalità intesa come limite dell'esistenza umana e al tempo stesso come repertorio a priori delle infinite possibilità che per essa si dischiudono e ne fondano la progettualità.
Ultimo traguardo di questa vicissitudine è l'opera di Derrida il quale nella nozione di "différence" inchioda nella caducità, nella traccia, dunque nell'assenza l'arrogante pretesa della coscienza di essere presente a se stessa; una coscienza pertanto che, anziché trovarsi dove crede di essere, è sempre differita in un essere altrove da se stessa. Ma il libro di Ferraris non è poi rivolto a delucidare queste tappe della nostra tradizione quanto ad innescare in un giuoco teoretico più ampio la tensione vertiginosa tra queste alternative. Perché alla fine, ed è proprio in tale operazione che questo volume suscita il più alto interesse storico-critico, ogni figura sopra delineata non si mantiene nella sua smagliante coerenza analitica con se stessa; ciascuna di esse prima o poi restituisce il proprio bagliore all'opacità del segno e della traccia. Perfino Socrate, dopo aver denigrato la scrittura, nella "Repubblica" o nel "Fedone" rinuncia a fissare lo sguardo nelle evidenze dirette delle idealità del bene e del vero per dirigerlo nella mezza luce di tracce e simboli degli oggetti originari; anche Husserl, dopo aver enfatizzato il regime di verità che è proprio della coscienza monologica, quale istanza autentica dello spirito vivente, deve poi ricorrere ai segni, agli indici, ai segnali della scrittura per fissare quelle verità ideali e oggettive che diversamente risulterebbero episodi cognitivi fugaci e effimeri. Del resto, la presenza eidetica non è mediata da una serie di mediazioni preliminari che ne revocano la sua pretesa attualità?
In questo processo di inversione nel quale lo spirito vivente prima o poi deve declinarsi nella traccia e nella lettera morta si compie l'episodio onto-teologico attivato dal lavoro del negativo che è delineato da Hegel, ma che trova la sua premessa nell'interpretazione della resurrezione di Cristo da parte di san Paolo, il quale dalla morte di ciò che è naturale e poi di ciò che è soltanto naturale inferisce lo spirito, il pneuma destinato a salvare l'uomo. Dalla morte di ciò che è empirico e accidentale si alza dunque lo spirito vivente restituito alla sua permanente idealità. Ma questa "differenza infinita" viene in realtà scoperta soltanto in rapporto alla nostra caducità e mortalità, e perciò risulta in realtà una differenza finita. E a questo punto che il caduco, la finitezza, penetrano, come scrive Ferraris, "sin nel cuore del trascendentale" (p. 256). Momento cruciale di questa analisi è il rapporto Nietzsche-Heidegger, che costituisce il punto dell'innovazione storiografica di Ferraris, la quale se da un lato rileva che Heidegger fraintende la lettera di Nietzsche dal momento che se per il primo il nichilismo nasce dalla morte di Dio, per il secondo il nichilismo risale proprio alla sua nascita, dall'altro rileva che inserendo Nietzsche nel circuito della storia della filosofia occidentale, che è la storia di un oblio dell'Essere e dunque del nichilismo, Heidegger può trarre dalle ceneri del nichilismo anticristiano di Nietzsche la premessa dell'avvento dell'ultimo Dio, non più concepito come ha fatto il cristianesimo quale sommo ente, ma pur sempre ente metafisico, bensì quale disposizione di un nuovo orizzonte aperto dall'Essere che echeggia nell'evento dell'opera d'arte in termini, come ha osservato Vattimo, di un'esperienza di spaesamento, di urto ('Stoss') e shock connessi alla condizione dell'angoscia e della mortalità.
In questa sua analisi dello spirito vivente nella transizione da una filosofia della coscienza a una filosofia del linguaggio, Ferraris ha il merito di commisurare la criticità del suo libro alle norme critiche espresse nel suo libro; se da un lato Ferraris sgombra il discorso filosofico dal mito metafisico della presenza vivente dell'autocoscienza a se stessa rilevando il gioco vertiginoso delle interpretazioni nello spazio privo di certezze aperto dall'assenza, dalla mancanza e dalla mortalità, egli poi richiama proprio per questo la nostra attenzione sulla istanza etica che è la condizione fondamentale dell'atto dell'interpretazione.

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Conosci l'autore

Maurizio Ferraris

1956, Torino

Filosofo italiano. È professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il LabOnt (Laboratorio di ontologia). Editorialista di "La Repubblica", è inoltre direttore della "Rivista di Estetica", condirettore di "Critique" e della "Revue francophone d’esthétique". Fellow della Italian Academy for Advanced Studies (New York), della Alexander von Humboldt-Stiftung e del Käte Hamburger Kolleg "Recht als Kultur" di Bonn, Directeur d’études al Collège International de Philosophie, visiting professor alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e in altre università europee e americane. Ha scritto una cinquantina di libri tradotti in varie lingue. Tra i più recenti, segnaliamo...

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