Nome d'arte di G. Hallward, attrice statunitense. Gli insegnamenti della madre, nota attrice teatrale e insegnante di recitazione, si rivelano utili ad avviarla a una prestigiosa carriera sui palcoscenici di Broadway, finché il cinema, nella persona di L.B. Mayer della mgm, non la mette sotto contratto in esclusiva. Bionda, sensuale, si impone quasi subito come tentatrice e donna di malaffare, in grado di far perdere la bussola morale a qualunque uomo, come accade al mite J. Stewart in La vita è meravigliosa (1946) di F. Capra. A queste figure, interpretate in numerosi noir (come Il diritto di uccidere, 1950, di N. Ray), resta legata per tutta la carriera, sia pure caratterizzando le sue bad girls («cattive ragazze») con drammatici conflitti interiori: è il caso della prostituta di Il grande caldo (1953) di F. Lang, il cui volto parzialmente sfigurato rappresenta efficacemente la doppia natura del personaggio, donna perduta che muore per il poliziotto G. Ford. Nonostante non divenga mai stella di prima grandezza nel firmamento hollywoodiano, vive il suo periodo migliore proprio negli anni '50: non solo ottiene un Oscar come attrice non protagonista per il melodramma Il bruto e la bella (1952) di V. Minnelli, ma partecipa anche a grandi successi come L'avventuriero di Macao (1952) di J. von Sternberg e Oklahoma! (1955) di F. Zinnemann. A partire dagli anni '60, complici alcune vicende personali, alterna lunghi periodi di assenza dagli schermi a tournée teatrali e produzioni televisive.