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Con La fattoria degli animali (pubblicato nel 1945) Orwell scrisse il suo testo forse più famoso, diventato ormai un vero e proprio classico.
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Si tratta di un racconto favolistico che in realtà è una grande allegoria con cui l'autore critica lo stalinismo, ovvero il "tradimento della rivoluzione bolscevica, il suo trasformarsi dapprima in una dittatura e poi in un regime totalitario tale da annichilire ogni libertà individuale" (dall'Introduzione di Luca Manini all'edizione di "Liberamente"-RL S.p.A.). Ogni personaggio è una "palese proiezione dei protagonisti della rivoluzione bolscevica: il Vecchio Maggiore è Lenin; Napoleone è Stalin, Palla di Neve è Trozky; il signor Jones è lo zar Nicola II" (dall'Introduzione di Luca Manini all'edizione di "Liberamente"-RL S.p.A.). Orwell non critica, quindi, il marxismo in quanto tale, ma la degenerazione che esso ebbe nell'Unione Sovietica di Stalin. D'altronde egli partecipò da repubblicano alla Guerra Civile in Spagna e a Barcellona si arruolò nelle file del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista, d’ispirazione trotzkista). Possiamo dire che, questa favola dell'autore britannico, fu una satira scritta per "mostrare all'Europa ciò che l'Unione Sovietica è davvero, ossia uno Stato che distrugge la libertà individuale" (dall'introduzione di Luca Manini all'edizione di "Liberamente"-RL S.p.A.). Un racconto che denota grande onestà intellettuale, ma forse un po' di miopia da parte dello scrittore, il quale non si rese conto che, senza la Rivoluzione bolscevica, lo stalinismo non sarebbe potuto esistere.
Consiglio la lettura di questo libro a tutti. Si tratta di un romanzo che esce da tutti gli schemi ed è difficilmente assimilabile ad un genere. Piuttosto è un libro, come gli altri di Orwell, che contiene una sorta di avvertimento, un’esortazione a riflettere sugli avvenimenti storici e politici per evitare di incappare negli errori sistematici già commessi più volte in passato.
Ad un secolo di distanza dalla rivoluzione d’ottobre leggere questo piccolo romanzo di Orwell continua a lasciare l’amaro in bocca, poiché “La fattoria degli animali” altro non è se non una tristissima rappresentazione della fine della più grande illusione che aveva caratterizzato il passaggio dal XIX° al XX° secolo, ossia che fosse possibile realizzare un’alternativa alle diseguaglianze della società capitalistica, un nuovo paradigma dei rapporti umani in grado di anteporre la giustizia sociale e la condivisione di un patrimonio comune agli egoismi individuali. Tale possibilità, ancora una volta e (probabilmente) per sempre, è stata negata dalla brutale realtà della storia. Al di là della vivida satira della ferocia stalinista, ciò che Orwell sembra voler evidenziare è soprattutto l’incapacità delle collettività sociali di difendersi dalle derive autoritarie e demagogiche e di determinarsi secondo modalità ispirate alla cooperazione ed alla non violenza. In questo senso “La fattoria degli animali” travalica l’allegoria del bolscevismo sovietico e diviene qualche cosa in più: una riflessione sul potere politico e sulla sua “naturale” tendenza a strutturarsi in senso oligarchico ed al contempo populista, sia nei regimi autoritari o totalitari che in quelli liberal – democratici i quali ultimi, pur tuttavia, continuano a costituire il “male minore”. da leggere
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