Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di disattenzione, sempre più scrittori, critici ed editori sono tornati a interessarsi al racconto del mondo industriale e alle sue mutazioni tra XX e XXI secolo. Sono state proprio le trasformazioni più recenti del mercato del lavoro, acuite dalla crisi globale, a riportare i problemi di fabbriche e aziende al centro del dibattito pubblico, favorendo un tentativo di rinnovamento dei rapporti tra industria e cultura. Fabbrica di carta si inserisce in tale quadro, e non solo in quanto si tratta di un'antologia della letteratura italiana di ambiente e ispirazione industriale. Infatti, il libro è promosso dall'associazione di imprenditori Assolombarda e nell'introduzione del suo consigliere e giornalista economico Antonio Calabrò si auspicano nuove narrazioni condivise dell'industria e l'avvio di una sorta di "rinascimento manifatturiero" (formula proposta da due docenti della Harvard Business School). A orientare la lettura del volume, vi sono invece i saggi dei curatori Giuseppe Lupo e Giorgio Bigatti, che rappresentano i punti di vista complementari di un italianista e di uno storico dell'economia. Citati in apertura del suo scritto i canti XIV e XXI dell'Inferno di Dante, con i versi dedicati alla "focina negra" nel Mongibello (l'Etna) e al cantiere dell'"arzanà de' Viniziani", Lupo rinviene tra le continuità più ricorrenti nella rappresentazione della fabbrica quel "paradigma infernale" che negli ultimi due secoli si è intrecciato all'ostilità nutrita da gran parte della cultura umanistica nei confronti del mondo industriale. È infatti soltanto con il boom economico che i letterati italiani sperimentano in concreto le correlazioni tra industria, lavoro e cultura, indagando al contempo il proprio ruolo nella società della produzione massificata e le possibilità della letteratura di rappresentarla. D'altronde, le fabbriche sono sempre state un "mondo chiuso", come scriveva Ottieri nel suo La linea gotica (1962), raccontato soprattutto da chi ha potuto averne esperienza diretta. Ciò è evidente nei testi antologizzati e suddivisi in due macrosezioni, Panorami dell'Italia industriale e Personaggi in cerca di lettori, seguite da un'appendice riservata alle Scritture del presente. La prima parte si apre con gli estratti riuniti sotto i titoli Laboratorio Vittorini e Ivrea e dintorni che danno il giusto rilievo ai momenti centrali di quella che Lupo ha definito la letteratura neocapitalista italiana: a Vittorini non si deve soltanto il dibattito su Industria e letteratura acceso nel 1961 dalle pagine del "Menabò", ma ancor prima l'avere promosso (sempre con Calvino) nei "Gettoni" einaudiani gli esordi degli operai Sergio Civinini e Luigi Davì accanto a quelli di Ottieri e Giovanni Pirelli; la Olivetti dell'ingegner Adriano, che intendeva l'industria quale propulsore sociale e culturale del paese, permise invece ad artisti e intellettuali quali Fortini, Volponi, Ottieri, Buzzi di conoscere dall'interno la vita aziendale e scriverne per esplorarne le contraddizioni. Gli olivettiani ritornano nella sezione dedicata ai personaggi, "tute blu" da un lato e "intellettuali nella ragnatela" dall'altro. In queste pagine si passano in rassegna i motivi letterari dell'antinomia tristezza-allegria nella descrizione della vita operaia e le figure dell'alienazione e della nevrosi protagoniste dei romanzi di Buzzi (Il senatore, 1958 e L'amore mio italiano, 1963), Bigiaretti (Il congresso, 1963), Parise (Il padrone, 1965) e Volponi (da Memoriale, 1962 a Le mosche del capitale, 1989). Si possono così mettere a confronto le visioni della fabbrica produttrice di alienazione da quelle in cui viene considerata un mezzo di riscatto sociale e "una via di libertà", per citare l'espressione usata da Calvino in una nota lettera a Ottieri concernente Tempi stretti (1957) e ripresa da quest'ultimo in Donnarumma all'assalto (1959). La nostra letteratura industriale non è però stata ispirata soltanto dalla Olivetti. Lo dimostrano le "visite in fabbrica" di Sinisgalli, Caproni, Gadda, Comisso raccolte in un'omonima sezione, e incoraggiate da house organs quali "Civiltà delle Macchine", "Il Gatto Selvatico" o "Pirelli", oltre che gli autori attivi in Piemonte (da Arpino a Primo Levi), Toscana (da Pratolini a Valerio Bertini), Liguria (Guido Seborga), ecc. Quando poi negli anni settanta si radicalizza il conflitto tra lavoratori e capitale, gli "operai-massa" nati nel Sud Italia diventano protagonisti del Vogliamo tutto (1971) di Balestrini e delle opere dei "selvaggi" Guerrazzi e Di Ciaula. Inoltre, i due romanzi che aprono e chiudono il racconto dell'epopea industriale del nostro Novecento sono Tre operai (1934) di Carlo Bernarie La dismissione (2002) di Ermanno Rea, ambientati in Campania. L'epoca post-fordista è infine ritratta nell'appendice da prose di autori quali Nigro, De Luca, Ferracuti, Avallone e Santarossa. Chiudono il volume gli utili apparati bio-bibliografici curati da Silvia Cavalli. Claudio Panella
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