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Ho letto il libro una prima volta per esplorare il territorio occupato dai racconti. Li ho riletti a distanza di qualche giorno senza seguire il criterio della successione lineare, ma scegliendo le 'sedute' i cui dialoghi mi chiamavano a rispondere intimamente alla problematica evocata. La bellezza dell'opera non è mai o non solo nell'oggetto a portata dei sensi, ma in quel misterioso senso risvegliato in chi guarda e si guarda, grazie a quell'oggetto. Provo a spiegare, ammesso che sia possibile esternare in modo equivalente, ciò che i dialoghi mi hanno risvegliato, in primo piano metterei l'arguzia dei due interlocutori, anzi dell'unico locutore che si sdoppia in chi provoca il pensiero inconsapevole e in chi lo scannerizza in dettagli secondo il flusso di coscienza e di consapevolezza. Sì, perché quelli che, per espediente letterario sono dialoghi verosimilmente di sedute analitiche, essendo un paziente e un analista immaginari, sono propensa a credere che siano due (o più) stati di coscienza. Mi piace il continuo passaggio dal registro comunicativo referenziale a quello filosofico-poetico con reciproche incursioni dell'uno nell'altro. I due giocano a rilanciare, uno fa da spalla all'elaborazione dell'altro, come se per pensare alto (o profondo) occorresse una spinta dal basso. E poi quei silenzi... come parola accolta, come respirazione psichica che funge da 'svitol', per usare la metafora di una delle pazienti. Magari scrivere tra parentesi “silenzio”, oltre ad alludere a chi dei due interlocutori fa il turno di ascolto, mira a indurre il lettore ad ascoltare(si) meglio. Le ispirazioni che i vari colloqui innescano non seguono la via cerebrale ma la via emotiva. L'Autore tra le righe lascia capire che attende l'evento, non pianifica il dialogo seguendo un criterio o una scaletta. Si lascia sorprendere, si ascolta nella dimensione profonda e ne coglie non solo la fluidità ma le irritazioni e la gamma dell'intero spettro emozionale.
Il testo propone una raccolta di racconti brevi costruiti intorno a dialoghi fra pazienti ogni volta diversi e uno psicoterapeuta, sempre il medesimo. Così il lettore viene introdotto nella stanza d’analisi e vi sosta come un testimone silenzioso: racconto dopo racconto viene coinvolto in una esperienza significativa di cui via via cerca di captare il senso, un senso difficile da definire. L’analisi infatti gli si rappresenta come opera aperta: da un lato il punto di vista del paziente, riconosciuto come interlocutore analitico, espressione di urgenze dolorose scavate nella propria storia; dall’altro, il punto di vista dell’analista che rivive/elabora quelle urgenze attraverso il filtro non solo delle proprie teorie ma anche della sua stessa vita interiore. Dunque il microcosmo della stanza accoglie una polifonia complessa e spesso dissonante: il discorso del paziente/interlocutore si intreccia con un dialogo a due voci che animatamente si rincorrono, spesso si scontrano, all’interno dello stesso soggetto: quella in terza persona del dottore/ narratore, tutto compreso nel ruolo di osservatore esperto e imperturbabile, preposto allo scioglimento dei nodi della psiche, e quella dell’analista/personaggio che si esprime in prima persona, intensamente compenetrato nei racconti che ascolta, attraversato di rimbalzo da memorie, associazioni, emozioni attinte al bagaglio della propria esperienza interiore. Questa dimensione aperta e complessa della psicoterapia si rispecchia nella scrittura dei racconti che risulta appunto plurale: dal registro formale del dottore/narratore in terza persona a quello informale dell’analista/ personaggio. Colpisce soprattutto la tensione lirica, fino alla solennità, che attraversa i discorsi dei pazienti /interlocutori: una sintassi semplice, un linguaggio chiaro e senza orpelli che riconduce efficacemente alla verità del dolore che lo ispira.
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