Compositore russo.
La formazione e i primi lavori. Figlio di un ingegnere minerario e di una buona pianista dilettante di origine francese che lo iniziò, ancor fanciullo, alla musica, ebbe le prime lezioni di pianoforte a sette anni. Nel 1850 si trasferì con la famiglia a San Pietroburgo, dove, per volere del padre, si iscrisse alla scuola di diritto. Nel 1859 ebbe un impiego al ministero della giustizia; ma ben presto sentì il disagio di un'attività troppo lontana dalle sue attitudini artistiche e l'abbandonò per dedicarsi totalmente alla musica. Nel 1861 cominciò a frequentare i corsi della Società musicale russa, studiando teoria con N.I. Zaremba, pianoforte con H. Stiehl, composizione con A.G. Rubinstein; nel frattempo, non potendo più fare affidamento sull'aiuto del padre, che aveva subito dei rovesci finanziari, si manteneva impartendo lezioni private. L'ambiente musicale in cui C. si inserì era dominato da Glinka e Dargomyzskij; soprattutto a quest'ultimo, assai aperto a suggestioni di tipo cosmopolita, si volse inizialmente l'attenzione del giovane compositore, le cui prime opere (Ouverture in fa, 1865; Scherzo alla russa e Sonata in do diesis minore per pianoforte, 1865-67) si muovono nell'ambito stilistico della musica più apprezzata dalla borghesia russa dell'epoca.
L'instabilità interiore e le vicende biografiche. Nel 1855, in una epidemia di colera, C. aveva perduto la madre, alla quale era profondamente attaccato. Questo dramma, e le privazioni economiche cui fu successivamente costretto, accentuarono il senso di instabilità psicologica che già era in lui un tratto costante. A causa anche dell'influsso di un giovane poeta conosciuto alla scuola di diritto, C. cominciò a credersi perseguitato da un malefico destino: forma morbosa di vittimismo che assunse in qualche caso gli aspetti di un'autentica mania di persecuzione, e che è una delle componenti del suo quadro psicologico, destinata a influenzare il suo stesso mondo fantastico ed espressivo. Nel 1865 si congedò dal conservatorio di San Pietroburgo musicando l'Ode alla gioia di Schiller; la cantata ottenne un premio e critiche favorevoli. Nello stesso anno N.G. Rubinstein, direttore del conservatorio di Mosca, gli assegnò la cattedra di armonia, incarico che C. mantenne per dieci anni e grazie al quale poté inserirsi definitivamente nell'ambiente culturale e artistico della città. Nonostante alcuni attestati di stima, i rapporti di C. con il cosiddetto Gruppo dei Cinque furono tesi e spesso polemici, specialmente con chi, come Musorgskij, aveva più radicato il senso del nazionalismo musicale e rifiutava il cosmopolitismo della borghesia salottiera moscovita, da cui C. era invece attratto. Nel 1868 conobbe la cantante belga Désirée Artot: ma la relazione che ne nacque ebbe presto fine, mettendo drammaticamente a nudo l'insormontabile omosessualità del musicista. A questo travagliato periodo sentimentale seguì una fase di particolare fervore creativo in cui C. compose, fra l'altro, il poema sinfonico il Destino (1868), l'ouverture Romeo e Giulietta (1869, 2.a versione 1880), la Seconda sinfonia («Piccola Russia», 1872) e la Terza sinfonia («Polacca», 1875), il Quartetto op. 11 (1871), il Concerto in si bemolle minore per pianoforte e orchestra (1875). Freschezza, eleganza, eccellenza tecnica caratterizzano le creazioni di questo periodo insieme a una marcata tendenza alla risoluzione malinconica, già orientata a trasformarsi in visione del mondo. Nel 1876 C. si recò a Bayreuth, la «città santa» del wagnerismo, tappa d'obbligo di tutti i musicisti del tempo. Nel 1877 si lasciò convincere a un'unione matrimoniale: ma poche settimane dopo aveva già abbandonato la moglie, Antonina Ivanovna Miljakova, alunna del conservatorio e sua fanatica ammiratrice. Proprio in quel periodo C. entrò in rapporti (mai concretatisi, per altro, in una conoscenza personale) con la ricca vedova Nadezda von Meck, madre di dodici figli, talmente innamorata della sua musica da offrirgli una rendita annua di seimila rubli che gli permettesse di dedicarsi interamente alla composizione. L'ultimo quindicennio della sua vita C. lo trascorse lungamente all'estero, in Europa e in America. La morte lo raggiunse, come era avvenuto per sua madre, durante un'epidemia di colera.
I capolavori sinfonici, cameristici e teatrali. È in quest'ultimo periodo che nacquero le sue composizioni più note, quelle che gli diedero fama anche come direttore d'orchestra: si ricordano, in particolare, la Quarta, Quinta e Sesta sinfonia (rispettivamente 1877, 1888, 1893: l'ultima, col noto sottotitolo «Patetica»), nelle quali C. riuscì a equilibrare una tendenza non sempre controllata alla confessione intima con l'ambizione di una vasta costruzione architettonica. Queste opere spiccano come i capolavori di una produzione sinfonica che comprende anche suites, fantasie e ouvertures (tra cui L'uragano da Ostrovskij, 1864; Romeo e Giulietta, Amleto e La Tempesta da Shakespeare; Francesca da Rimini, 1873; e l'Ouverture 1812, 1880); inoltre la Serenata malinconica in si bemolle minore per violino e orchestra op. 26 (1875), le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33 (1876), il celebre Concerto in re maggiore op. 35 per violino e orchestra (1878), e la Serenata in do maggiore per orchestra d'archi op. 48 (1880), nonché un Secondo e un Terzo concerto per pianoforte e orchestra (op. 44, 1880; e op. 75, 1893). Né va dimenticata la musica cameristica, alla quale C. diede fra l'altro 3 Quartetti (1871-76), 1 Trio con pianoforte (op. 50, 1882) e il sestetto Souvenir de Florence op. 70 per archi (1890), diverse pagine pianistiche e molte liriche per voce e pianoforte. Ancora legati ai modi elegantemente salottieri del primo periodo, pur appartenendo alla maturità creativa del compositore, sono i 3 celebri balletti Il lago dei cigni (1876), La bella addormentata (1889), Schiaccianoci (1892). Allo stesso arco di tempo risalgono anche le sue opere teatrali più note, l'Evgenij Oneghin (1878) e La dama di picche (1890), accanto alle quali si possono ricordare La pulzella d'Orléans, Mazeppa, Jolanta. Ambedue tratte da Puskin, le due opere maggiori mostrano composite influenze russe e occidentali, particolarmente francesi; in entrambe (ma soprattutto nella seconda) sono presenti pagine memorabili, degne di figurare accanto ai più noti esempi del decadentismo russo.
Lo stile: patetismo e perfezione formale. Perfezione tecnica e verità d'espressione furono, in generale, i due poli della musica di C. Compositore colto, dotato di un «mestiere» e di un bagaglio tecnico paragonabili a quelli dei colleghi occidentali, egli fu tra i primi a introdurre in Russia, in contrapposizione al «dilettantismo» dei Cinque, una concezione professionale dell'attività compositiva, insieme col gusto per una scrittura sorvegliata, stilisticamente rifinita. Egli si mantenne sempre fedele a un concetto aulico del linguaggio musicale, considerando irrinunciabile, al di là delle esigenze espressive, l'osservanza di determinati canoni – «universali» e oggettivi – di bellezza formale. Di qui l'impossibilità a capire le potenzialità realistiche ed espressive insite nella forza deformante del linguaggio popolare, e, per contro, la sua adesione ai grandi modelli della musica occidentale, Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Schumann, che ai suoi occhi assumono il valore vincolante di classici. Di qui, anche, il carattere cosmopolita che in genere si attribuisce al suo stile musicale, nonostante i profondi vincoli affettivi e culturali che legarono C. alla sua terra. In un periodo in cui le forme ereditate dal romanticismo subivano una lenta degenerazione, egli non inventò sul piano formale nulla di nuovo, ad eccezione del balletto sinfonico, della cui tradizione si può considerare l'iniziatore. Nel campo teatrale come in quello sinfonico rimase del tutto indifferente ai modelli wagneriani o al nuovo recitativo di Musorgskij. Ma più che nelle innovazioni del linguaggio, i valori della sua musica risiedono nella capacità di tradurre in gesti immediatamente comunicativi le realtà psicologiche e gli stati emotivi. Il suo talento culmina laddove si scoprono i sentimenti del tragico e le passioni più profonde, oppure dove il suo dramma personale trova più diretta partecipazione (ad esempio nella Quarta, Quinta e Sesta sinfonia). Essenzialmente legate ai modelli mozartiani, anche le sue opere teatrali vivono della caratterizzazione psicologica dei personaggi, della partecipazione emotiva alle vicende di eroi che sono vittime del destino (La dama di picche, l'Oneghin): appunto questa capacità di esprimere il pathos in un linguaggio facilmente decodificabile e in forme rassicuranti nella loro chiara perfezione costituì il segreto del successo che arrise assai presto al compositore.