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Edgarda Ferri ha la straordinaria abilità di far rivivere i personaggi di cui scrive la biografia; che si tratti di Letizia Bonaparte, la madre di Napoleone, o di Baldassarre Castiglione, il fine diplomatico dei Gonzaga, emergono prepotenti dalle righe, si delineano davanti ai nostri occhi, tanto da apparire presenti, quasi figure che prendono corpo poco a poco accanto a noi. E’ anche questo il caso di Giulio Pippi, detto Romano, il più capace allievo di Raffaello Sanzio, che da Roma, aderendo all’invito di Federico Gonzaga, si recò a Mantova, città che lui abbellirà e che divenne la sua nuova patria, coniugandosi con una mantovana e lì dimorando in una casa, tuttora esistente e di proprietà privata, costatagli mille scudi d’oro, come nelle prime pagine dice a Giorgio Vasari giunto nella città lombarda per prendere appunti per il suo libro “Le vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani” e fra questi artisti non poteva mancare il più grande, proprio lui Giulio Romano. Per un genio come il prediletto fra gli allievi di Raffaello il periodo mantovano fu il più fecondo della sua esistenza, con la possibilità di concretizzare il suo grande genio creativo, in un flusso continuo di idee che derivava anche dalla comunione con il carattere del Signore di Mantova, tutto teso alla ricerca del bello. Ed è così che nacque dalle vecchie scuderie il palazzo di rappresentanza, ma anche luogo d’amore con l’amante Isabella Boschetti; il Te, così verrà chiamato prendendo il nome dall’isola, poi resa unica con la terraferma, su cui fu eretto, da un lato è l’emblema di una signoria che vuole distinguersi non tanto per la potenza quanto invece per l’amore per le arti, dall’altro è un laboratorio in cui Giulio Romano dà sfogo alla sua creatività, realizzando, con l’aiuto dei pittori della sua scuola, affreschi di una bellezza incredibile, quali la celeberrima sala dei Giganti.
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