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Anno edizione: 2015
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A chiunque, in questi ultimi anni, abbia prestata qualche attenzione a ciò che succedeva nel mondo dell'informazione, non sarà mancato di osservare in che misura straordinaria siano cambiate le modalità attraverso cui si accede al sapere e se ne fruisce. La biblioteca, l'istituto cioè che del sapere è stato per secoli il pressoché incontrastato custode e diffusore, è oggi incalzata da documenti, e da strumenti per la loro trasmissione, che ne mettono seriamente in discussione gli scopi e giungono perfino a far dubitare della sua ragion d'essere.
Tra le migliaia di contributi sull'argomento, più o meno apocalittici o integrati, quello di Solimine rivela una qualità difficile a trovarsi. Il libro si presenta come una sintesi tra un saggio e un manuale: una sintesi peraltro pienamente conseguita, grazie a un impianto equilibrato e a una prosa misurata, ma non arida. In questa sintesi gli aspetti manualistici si giovano di una viva consapevolezza teorica e la componente saggistica si fonda sempre su una ricca architettura di elementi tecnico-pratici. Ne risulta, potremmo dire, una "filosofia" della biblioteca, costruita senza trascurare alcuno dei "fenomeni", vecchi e nuovi, che complicano ogni ragionamento sull'informazione.
Un risultato raggiunto però non senza una forte difficoltà, ben dissimulata dall'autore, ma che al lettore interessato a capire vale la pena di segnalare. Si avverte nel libro una continua tensione a ricondurre a "principio" (Grundform, direbbero i filosofi) la miriade disordinata di "fenomeni" perturbatori. Riportando poi il "principio" tra le cose: quasi a dimostrarne la validità. C'è un punto in cui Solimine usa la metafora del "tenere la rotta": ma se questo andirivieni dalla teoria alla prassi è già di per sé difficile, interviene a disturbare il "nocchiero" un ulteriore elemento, che non sappiamo definire meglio che con l'espressione di "amore per la biblioteca". Vivere nell'incertezza del futuro, scrive l'autore, "è la dimensione della nostra contemporaneità". E se non sappiamo quale sarà il suo futuro, "siamo certi che la biblioteca avrà un futuro". Un futuro in cui essa dovrà trovare un ruolo più attivo e incisivo, non facendosi "relegare a una funzione di mera detenzione di contenuti". Ma questo, sia detto senza ombra di polemica, non è un principio. È una dichiarazione appassionata (e le passioni notoriamente con i principi vanno poco d'accordo), che entra in un drammatico conflitto con i principi fin lì enunciati. Perché, se il nomos della biblioteca, la legge che dovrebbe regolarne e giustificarne l'esistenza, consiste in "una disciplina applicata, il cui oggetto è la progettazione, la gestione e la valutazione" non più, si badi, della biblioteca, ma dei "servizi documentari, cioè della mediazione fra una raccolta di documenti e un'utenza"; se, per dirla breve, la biblioteconomia può esistere senza la biblioteca, l'assunto che questa abbia comunque un futuro viene negato dalla sua stessa legge "costituzionale".
A meno di non accettare l'idea − inquietante ma, tutto sommato, e considerati gli ultimi sviluppi del motore di ricerca californiano, non terribile −, che Google, il più potente e usato tra i "servizi documentari", rapido ed efficace nella "mediazione fra una raccolta di documenti e un'utenza", non sia altro che una biblioteca.
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