Che fine avevano fatto gli ebrei deportati dall’Italia? Fu questo l’interrogativo a cui Massimo Adolfo Vitale cercò di rispondere fin dal suo ritorno in Italia, avvenuto nell’autunno 1944. Per questo funzionario governativo di religione ebraica, che aveva partecipato alle campagne coloniali italiane in Africa e alla Grande guerra, che aveva prestato servizio per lo stato liberale prima e per quello fascista poi e che, in seguito alle leggi razziali, fu licenziato dal suo incarico e costretto a riparare all’estero, rispondere a quella domanda significava soprattutto venire a conoscenza del destino della madre e della sorella, di cui si erano perse completamente le tracce in seguito alla loro deportazione. Nel maggio 1945 Vitale fu nominato presidente del Comitato ricerche dei deportati ebrei di Roma e fu tra i fondatori del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, il cui corpus documentario è iniziato proprio con la raccolta da lui fatta di fotografie, deposizioni e testimonianze di ex deportati, tra cui quella di Primo Levi. Nel 1947 fu inviato a Varsavia come osservatore al processo intentato contro il comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss, e visitò ciò che rimaneva dei campi di Auschwitz-Birkenau e Majdanek, offrendo una visione dei lager diversa rispetto a quella che, oggi, un visitatore si trova di fronte. Il resoconto di queste sue esperienze, intitolato Missione in Polonia marzo-aprile 1947, rappresentò il primo documento scritto sulla Shoah circolante in Italia. Grazie al suo lavoro di ricerca, Vitale fu tra le poche persone in Italia che, già nei primi anni del dopoguerra, venne a conoscenza delle modalità di sterminio degli ebrei in Europa e che si impegnò strenuamente nella difesa e nella conservazione della memoria.
(E.F.)