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In questo saggio, uscito nel 1934 sulla rivista “Esprit” e qui pubblicato per la prima volta in italiano, uno dei grandi pensatori ebrei di questo secolo si misura con il fenomeno nazista “pressappoco all’indomani dell’arrivo di Hitler al potere”. Ma prescindendo audacemente dagli ovvi cerimoniali di condanna nei confronti di un regime che già si palesava in tutta la sua ferocia e dal facile scherno per la rozzezza degli “hitleriani”, egli si sofferma con lucidità forse ancor oggi impareggiata sul “risveglio di sentimenti elementari” che lo caratterizza, e che ne fa un oggetto privilegiato dell’indagine filosofica. “Perché i sentimenti elementari – scrive egli in apertura – racchiudono una filosofia; esprimono la prima attitudine di un animo di fronte all’insieme del reale e al suo destino. Predeterminano o prefigurano il senso della sua avventura nel mondo.”
Levinas (1905-1994) insiste sulla contiguità di tale filosofia con le postazioni più avanzate del pensiero contemporaneo, da cui proprio in quegli anni – in virtù di una visione radicalmente nuova della natura umana – giungeva uno scacco irrevocabile all’universalismo cristiano e al liberalismo idealista, cioè alle due strategie elaborate dall’uomo europeo per sentirsi libero rispetto alla sua contingenza storica e corporea. È possibile che le acquisizioni filosofiche dell’epoca, per un verso così feconde da alimentare il cammino del pensiero fino a oggi, covino in seno costitutivamente il seme di fenomeni così aberranti e catastrofici? E in che senso oggi dovremmo sentircene ormai al riparo? Certo, le soluzioni di stampo neoliberale che tornano massicciamente in voga in questo periodo non sembrano tranquillizzare il filosofo: “Dobbiamo chiederci – scrive egli nella prefazione del 1990 – se il liberalismo possa bastare alla dignità autentica del soggetto umano.”
Se dunque, ancora più di cinquant’anni dopo, l’autore sottolinea che il suo scritto “procede dalla convinzione che l’origine della sanguinosa barbarie del nazionalsocialismo non sia in una qualche contingente anomalia della ragione umana, né in un qualche malinteso ideologico accidentale”, ma che “tale origine attenga ad una possibilità essenziale del Male elementale cui ogni buona logica può condurre e nei cui confronti la filosofia occidentale non si era abbastanza assicurata”, è lecito dubitare che quest’ultima se ne sia assicurata dal dopoguerra ai nostri giorni, anzi è proprio tale dubbio ad aprire il varco attraverso cui il saggio sull’hitlerismo continua a gettare luce sull’attualità.
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Grandissimo testo. Precocissimo: 1934. Critica eminentemente filosofica al nazismo. Particolarmente interessante sia da un punto di vista teoretico sia etico il problema, ben messo in evidenza dall'introduzione di Agamben, dell'être rivé (l'essere inchiodato).
In che modo il nazismo ci appartiene? E’ questo l’imbarazzante interrogativo cui Levinas cerca di rispondere nel suo saggio. Per questo egli ripercorre la storia della filosofia occidentale ed individua nel pensiero di Heidegger la possibilità di innesto dell'hitlerismo nella nostra tradizione culturale. La novità della filosofia heideggeriana rispetto alla tradizione costituisce, infatti, il terreno privilegiato per quell’impianto che fonda la continuità tra l'hitlerismo e noi. In tal modo il principale presupposto teorico dell’hitlerismo, vale a dire l’identificazione dell’essenza dell’uomo con la dimensione corporea e prerazionale, storica e concretamente vissuta come unità di spirito e corpo, di eredità naturale ed eredità culturale, si inscrive nella critica heideggeriana all’impostazione "logocentrica" del pensiero occidentale il quale, viceversa, tende da una parte ad una sublimante rarefazione della spiritualità e, dall’altra, ad una screditante considerazione dell'uomo e del mondo intesi come realtà concrete e materiali. Ed è interessante notare, infine, che proprio l’uomo che ha sperimentato il fallimento come destino della ragione, può vivere poi il mito della razza come una promessa di sincerità e di autenticità e può scoprire il proprio corpo come destino trasformandolo in un compito da realizzare nella storia. In tal modo l’hitlerismo non è soltanto un evento storico od una categoria filosofica, ma soprattutto una possibilità esistenziale con la quale ognuno di noi, ed in ogni tempo, è costretto fare i conti. Cristian Flaiani.
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