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Anno edizione: 2019
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
È la storia del dramma che vive un bambino, cresciuto senza il padre, costretto a subire la violenza psicologica inferta dal nonno-orco. L’impatto è devastante: il piccolo sviluppa sensibilità, e quindi una maturità maggiore rispetto alla sua età, ma anche disturbi mentali. Un baratro in cui sprofonda inesorabile e di cui sembra consapevole, fino all’epilogo inaspettato. La narrazione segue soprattutto il punto di vista del protagonista e la sua evoluzione, manifestandone ingenuità e desideri durante l’infanzia, perspicacia, turbamenti psichici e bisogni affettivi. Emerge una mentalità acuta ma “guasta e distorta”, che rende il protagonista l’unico personaggio con un certo spessore di carattere. Infatti i soggetti, soprattutto secondari, sono “ridotti al necessario”, così come il contesto fisico, un non-luogo in una periferia di una grande città. Scelte emblematiche. Ho apprezzato la struttura, dai capitoli brevi e concisi, che si avvale di uno stile informale e schietto, dall’impatto visivo e dalle “sfumature metaforiche”, alcune notevoli. Non ho invece gradito l’attenzione a dettagli resi inquietanti. Mi chiedo se non sia troppo, pur comprendendo l’ottica pessimistica e drammatica su cui si innesta il romanzo. Una narrazione nel complesso scorrevole anche se in alcuni tratti un po’ lenta. Una lettura impegnativa e originale, dal titolo efficace, che mi ha coinvolto. Ma a cui è necessario abituarsi se non si predilige questo genere letterario, e di cui bisogna accettare la visione di fondo.
Sarà difficile dimenticare questa lettura. Una storia forte, cruda, che ti prende, me ti segna; reale ma delirante; a tratti favola, a tratti tragedia. Ho perso il ritmo solo nella seconda parte, non perchè la qualità della narrazione fosse calata, ma perchè mi rifiutavo di leggere, di andare avanti... Non mi era mai capitato di leggere un libro così.
Non è facile un libro così. e' una storia cruda. Ma sono proprio queste le storie difficili da raccontare, quelle dove non c'e' il lieto fine che ti aspetti. Stefano Bonazzi è riuscito con grande bravura a raccontare questa storia, personalmente tenendomi incollata alle pagine, e con maestria tale da farmi emozionare e commuovere in alcuni punti. Questo libro arriva dritto al cuore, scuote, sconcerta. Impossibile non immedesimarsi nel protagonista, non vivere in prima persona il dramma del bambino protagonista della storia. Un libro che oltre ad emozionare fa riflettere su quanti drammi familiari come questo esistano tutti i giorni, quante vite rovinate, violate, tristi. Quanti destini rovinati per sempre. Non era facile da raccontare ma Stefano Bonazzi ci è riuscito benissimo.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Sin dall’inizio l’ho immaginato seduto ad un tavolo. La stanza spoglia e poca luce che filtra dalle tapparelle, come quando era piccolo a casa dei nonni. Lo immaginavo con uno zippo in mano, una sigaretta accesa a raccontare la sua storia, alle volte facendo anche spallucce, come dire “sì, è successo… ma…”. Come se raccontasse una vita non sua.
Invece era la sua storia, dolorosa e profonda quanto un colpo di macete.
L’autore di A bocca chiusa, Stefano Bonazzi, attraverso la voce del suo piccolo protagonista ti porta all’ingresso degli inferi e, seppur d’istinto vorresti fermarti e fare due passi indietro, ti obbliga a lasciarti trascinare ancora più in basso.
Afa, caldo, dolore, impotenza, speranza, fantasia come via di fuga, silenzio, buio, ombra e morte e ancora più giù.
Il narratore, un bimbo di dieci anni vittima di violenza fisica e psicologica da parte di un nonno-padrone e quasi abbandonato a sé stesso da una madre assente e assorta, mi ha ricordato il Nicolas de La settimana bianca, di Emmanuel Carrère.
Bonazzi indaga, con la stessa maestria, nell’animo del protagonista d nella sua evoluzione/involuzione. La sopravvivenza che passa attraverso la solitudine come rocca di autodifesa inespugnabile, e l’uso e abuso di psicofarmaci, fino all’epilogo quanto mai inatteso e sorprendente. E come il suo collega francese artiglia l’anima del lettore, spremendola a sangue.
Non è un romanzo facile.
Non è una di quelle storie che sfogli a cuor leggero e ti lasciano immagini e profumi nella testa quando, rientrando a casa, aspetti di riprendere il libro tra le mani. È un romanzo dai profumi acri come il sudore che scorre nelle lunghe ore di abbandono che il protagonista subisce, chiuso in un terrazzo al sole in piena estate. Immagini come questa ci indignerebbero anche solo si parlasse di un cane, l’empatia del lettore resta ferita nel profondo quanto quel bambino.
Non è un romanzo facile perché ci costringe ad andare a fondo ad una di quelle situazioni in cui non vorremmo mai entrare. L’autore ci costringe a guardare, a riflettere, ci obbliga a convivere con un finale che ha tutt’altro sapore che il riscatto.
Stefano Bonazzi ci induce a pensare che davanti a storie come questa, restare a bocca chiusa, sia inaccettabile.
Le saracinesche sono state abbassate. La gomma antiscivolo si è deteriorata e il pavimento sembra la pelle di un dinosauro morto, piena di crepe e tagli. Colonie di scarafaggi si muovono al di sotto, è un mondo a parte.
Le giunture sono arrugginite. Le insegne le hanno nascoste con del nastro adesivo nero. I bidoni della spazzatura sono stati svuotati. Adesso, per capodanno, i ragazzi ci gettano dentro i petardi. Ogni anno esplodono lanciando frammenti di plastica muscoli come coriandoli.
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