"Henrietta Lacks August 01, 1920 - October 04, 1951. In loving memory of a phenomenal woman, wife and mother who touched the lives of many. Here lies Henrietta Lacks (HeLa). Her immortal cells will continue to help mankind forever". Così hanno scritto i nipoti sulla tomba, finalmente conquistata sessant'anni dopo la morte, di una donna che è divenuta il simbolo di tante realtà contraddittorie del nostro tempo: il progresso complessivo della scienza e il rispetto delle persone, la singolarità dell'evento biologico e la sua commercializzazione, i diritti umani e l'incompiuta fatica per realizzarli in campo sanitario, come in quello politico-sociale. Il libro di Rebecca Skloot racconta una storia straordinaria nella sua atroce ordinarietà, ma sullo sfondo incombono i fasti e nefasti di una scienza che procede passando sul corpo di tanti, troppi sconfitti inconsapevoli. È innanzitutto la storia di Henrietta Lacks, una donna di origine afro-americana, di estrazione contadina, madre di cinque figli, morta a Baltimora all'età di trentun anni per cancro all'utero. Durante gli esami praticati presso l'ospedale Johns Hopkins nel 1951, alcuni medici dell'istituto le prelevarono delle cellule per la ricerca. Una cosa non insolita all'epoca, anche se la paziente non aveva concesso il permesso al prelievo pur accettando la cura che, va detto, era gratuita. Qualcosa di insolito accadde dopo. I dottori avevano bisogno di linee cellulari per studiare in coltura la biologia dei tumori e sino allora non possedevano cellule umane in grado di sopravvivere e moltiplicarsi a lungo termine. Come scrive Rebecca Skloot: "Essi scoprirono che quelle di Henrietta erano diverse. Si riproducevano in continuazione nell'arco delle 24 ore senza mai fermarsi". Quelle cellule, denominate dalla paziente HeLa, per l'azione di un virus che la paziente aveva contratto, sono diventate le prime cellule umane "immortali" cresciute in laboratorio. Il loro successo nella ricerca medica fu enorme e rapidamente vennero espanse e distribuite gratuitamente per la ricerca dal Johns Hopkins, ma anche vendute a caro prezzo da altri istituti e da industrie private. Erano cioè diventate un prodotto di grande successo della nascente industria biomedica. E tuttavia, nulla era riconosciuto alla famiglia in termini meramente monetari, ma nemmeno di riconoscimento morale e di semplice informazione. La storia di Henrietta Lacks è rimasta sconosciuta per molto tempo e solo la ricerca approfondita e amorevole di Rebecca Skloot, dopo qualche sporadico articolo giornalistico e un serio documentario, ha riportato così alla luce la controversa vicenda dell'origine delle cellule HeLa, che per tanti anni sono state strumento fondamentale nelle ricerche sul cancro oppure nella profilassi della poliomielite, ma ha pagato un debito sociale verso Henrietta e la sua famiglia, un simbolo ormai dello sfruttamento umano, dell'ingiustizia razziale, delle vite disperate che ne derivano, del diritto di sapere. Il libro non è solo un'eccitante storia scientifica, ma illustra un intreccio appassionato e appassionante di rapporti umani. Rebecca Skloot ci racconta infatti come la sua ricostruzione si sia fatta carne e sangue attraverso gli scambi con la famiglia Lacks e in particolare con Deborah, l'ultima figlia di Henrietta, con cui ha creato un "affettuoso e forte legame (
) e senza rendermene conto sono diventata come il personaggio principale della sua storia, e lei nella mia". Il desiderio struggente e inarrestabile di Deborah è quello di recuperare l'identità della madre attraverso la ricostruzione della sua storia medica, ma anche in modo fisico diretto, maneggiando le provette contenenti quelle cellule immortali che hanno colonizzato il mondo intero. Il libro, scritto per brevi capitoli, solleva una quantità di problemi e riflessioni, ricchi di dati storici accuratamente documentati. Sui parla così dei diritti proprietà di un individuo sul proprio corpo e sulla brevettazione di tali parti a opera delle grandi industrie farmaceutiche. Ma si parla anche dello sviluppo del sistema sanitario degli Sati Uniti, sempre oscillante fra grandi, generose idee umanitarie e cinismi di varia natura, che permettevano l'uso ‒ usandoli come cavie umane per spericolati esperimenti ‒ di volontari e spesso di ignari individui provenienti dalle classi più povere e razzialmente discriminate. Rebecca Skloot non nasconde i suoi sentimenti di reale indignazione, ma sa conservare l'equilibrio dello storico professionale, sottolineando le motivazioni e le ricadute di ospedali come il Johns Hopkins, ma senza nasconderne le ipocrisie e le politiche razziali. E quando parla di un esperimento audace che oggi ci scandalizza, pone peraltro in evidenza il contesto normativo e medico in cui tale esperimento si colloca. Così la figura del Dr. Gey, lo scienziato che sviluppò le HeLa, giganteggia, con la sua passione per la scienza, la sua semplicità di tratto, la sua creatività disinteressata. Le ambiguità che manifestò sulla figura e i diritti di Henrietta Lacks gli danno allora una dimensione umana a tutto tondo, fuori da ogni melensa iconografia del "buon dottore". Ciascuno lo giudichi secondo le sue visioni della vita: io l'ho pienamente assolto, alla fine, ma dopo parecchi mal di pancia. Il libro è quindi un esempio mirabile di comunicazione moderna della scienza e di sua contestualizzazione nella società che cambia. In alcuni passi, l'autrice sembra abusare del pennello etnologico del colore, descrivendo i poveri Lacks e le loro vicende sfortunatissime, come fossimo in una black sit com televisiva. Accurata descrizione di tragiche povertà e mostruose discriminazioni razziali, artificio retorico? L'effetto è comunque cogente, almeno per un lettore europeo. Il risultato finale è quello di una storia che, partendo dalle cellule HeLa, ricostruisce l'epopea e le tragedie delle frontiere, scientifiche e no degli Stati Uniti. C'era una volta il West
Aldo Fasolo
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