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Anno edizione: 2023
Anno edizione: 1985
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Letto a Dubai, in una polverosa notte primaverile, mentre la sabbia del deserto si alzava fino alle sommità dei grattacieli e il traffico notturno per le strade proseguiva a rulli. Confesso che a volte, punto e turbato dalla stranezza della situazione, mi fermavo, chiudevo il libro e fissavo la vetrata che si affacciava sulla strada... Se non altro, in questo modo ho capito che Walser è ubiquo, si può leggere ovunque e dappertutto riuscirà a contagiarti con la segreta malia dei suoi sussurri pieni di grazia.
Che cos'è il "penultimo passo"? Cos'è questa meravigliosa trovata di Walser, questo sibilo che tiene, che sopravvive, una nota lieta ancora non annegata nel confuso gorgo dei sensi? Non altro che la resistenza della poesia, del poetare, del vero sentire che salva e regge dentro le nostalgie sempre più calpestate dei giorni. Nel bellissimo racconto di un pittore che scrive a un poeta leggiamo: "Mi viene in mente il pensiero che forse al mondo non esista felicità senza che si frammischi dolore: col che voglio dire a te come a me, in sostanza e molto semplicemente, che conduco una dura lotta". Da qui la magia del frammento rapito alla consuetudine, l'emozione per uno stelo che cresce, un calmo profumo di campagna dove camminare e perdersi in mille momenti sensibili. Questa da sempre la grammatica di Walser, un quadro dipinto da essenze, da fruscii, dai sentieri di un vivere appartato, solitario, gioia che avanza e mormora nelle pagine la quiete strappata al soffocante vento delle cose. L'uomo insomma come un ospite, pedina casuale su questi sfondi troppo vasti perchè li riesca a comprendere la forza di una voce: "Qua e là una solinga figura umana, una piccola frase senza importanza, un rumore isolato". Gli echi del perdigiorno in una custodia di racconti simili a cartoline, vagabondaggi ricettivi dove ogni sprazzo d'incontro, ogni cadenza d'ascolto diventano nel canto delle parole assai più che lascito passeggero, fugace ristoro, finendo per elevarsi a impronta d'inchiostro sincero, rincorso, e amato. Brevi prose, calibratissime nel gioco fra sentimento e lucidità, come sortite da una dolcezza d'insieme che ha come madre e fonte un'idea di rimpianto chiaro, di perdita, di addio alle cose trattenuto da qualche sillaba ancora viva. Un alone di fiaba fra i difficili rovi della vita, carezza di mani rare sul dorso offeso delle cose. Vita di poeta come istanti rappresi che confortano, celebrazione di una natura casta e stupenda, del nostro essere eternamente piccoli.
Vivere ogni giorno pazientemente, serenamente, limpidi d'infinita e tacita umiltà, in lento cammino verso l'abisso inondato di luce chiamato follia. E lì assopirsi, in dolce, perpetua distrazione e oscurità, lontano dal mondo intelligibile. Per apprezzare pienamente “Vita di poeta” è indispensabile conoscere la vita di Robert Walser e aver letto “la passeggiata”, una delle sue ultime opere, un piccolo capolavoro dalla bellezza di una pietra preziosa, come altre sue opere tarde altrettanto importanti, forse più importanti come mi faceva notare qualcuno, sia per mole che per qualità ma prive di quel perfetto equilibrio e poesia. Se non ci sono queste due premesse si può pensare a “vita di poeta” come un libercoluccio brutto che descrive le lunghe passeggiate con relativi insignificanti incontri di un personaggio che a prima vista può essere scambiato per un “allocco”, visto il meravigliarsi per le piccole cose, per il paesaggio semplice, il voler descrivere come eventi degli incontri di assoluta normalità, il voler essere e apparire gentile per forza con tutti quelli che incontra, la sua infantile e impacciata galanteria con le donne. Ma assolutamente consigliato.
Recensioni
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