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Sicuramente Max Tegmark è un ottimo divulgatore e suoi libri si leggono con interesse. Tra l’altro sul tema di “Vita 3.0” ha investito un impegno speciale, visto che ha organizzato convegni e raccolto il parere di diversi esperti di intelligenza artificiale. Il risultato del lavoro è interessante ma non eccellente. Primo perché l’autore attinge a piene mani a scritti e film di fantascienza per cui le riflessioni, soprattutto nei capitoli centrali, hanno ben poco di scientifico. Poi perché l’autore relega ai capitoli finali, e con esiti a dir poco dubbi, il tema centrale del discorso, vale a dire il tema della “coscienza”. Come si fa a sapere se le macchine hanno coscienza (e se potranno mai averla, e se pertanto dobbiamo assegnare loro particolari diritti come vorrebbe Tegmark, invece di trattarle come ‘schiavi’) se non sappiamo quali meccanismi portano alla coscienza negli esseri umani? Tegmark è un fisico sicuramente, questa è la mia impressione, riduzionista, ma quando parla della coscienza non prende atto che il problema è un enigma irrisolvibile, ricorre al falso argomento dell’emergenza. La coscienza sarebbe allora un qualcosa che emerge come per magia dal complesso sistema neurale posizionato del nostro cervello. E a esemplificare la cosa ripropone il trito, e ahimè sbagliato, esempio dell’acqua bagnata… L’essere bagnato sarebbe un fenomeno emergente che coinvolge molte molecole d’acqua. Peccato che non sia così. La bagnabilità riguarda la capacità di una sostanza, come l’acqua, di aderire su una superficie (come la nostra mano). L’adesione avviene perché l’acqua è formata da tante molecole polari che si comportano come minuscole calamite che si attaccano alle superfici. La bagnabilità è interpretabile comunque sulla base della proprietà elettromagnetiche di ogni singola molecola. Pertanto, come la mettiamo con la coscienza e le sue relazioni con l’intelligenza artificiale?
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