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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2014
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Premetto che ero ben consapevole della difficoltà dell'opera ed infatti ho deciso di prepararmi con l'ascolto di tre conferenze online sul tema. La lettura de "L'uomo senza qualità" si è confermata, ahimè, un grosso impegno: ha richiesto molta determinazione per portarla a termine e cercare di comprenderla appieno. Il problema è che si tratta di un romanzo "sperimentale" il cui "saggismo" annichilisce a mio avviso la trama; proprio così: la trama è solo una cornice e non ne rappresenta il vero contenuto; essa è un mezzo di cui l'autore si serve per parlare soprattutto di filosofia. Un saggio filosofico, insomma (ma anche storico e non solo) "travestito" da romanzo, che finisce per essere un libro per me indefinibile; la sua storia, infatti, non è mai raccontata oltre ad essere incompiuta. Tra l'altro si tratta di un'opera pregna del pensiero di Nietzsche la cui conoscenza risulta indispensabile per la sua piena comprensione. La mia lettura si è protratta per oltre due mesi e devo ammettere che, nonostante i tantissimi spunti davvero interessanti e alcune geniali riflessioni, nel complesso non ne ho ricavato alcun piacere poiché l'ho trovata purtroppo un'opera tediosa, intellettualistica e sofisticata. Un racconto fumoso, spesso inutilmente complesso, che procede faticosamente con un susseguirsi estenuante di metafore e similitudini. Si percepisce costantemente l'impegno dell'autore di "fare" filosofia all'interno di un'opera narrativa e sovente egli indugia in contorti periodi dove si fatica parecchio a raccapezzarsi. Il libro e l'autore rimangono dei giganti della letteratura: sono consapevole che il limite è tutto mio.
Recensioni
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recensione di De Angelis, E., L'Indice 1997, n.11
Rileggerlo è ogni volta una scoperta. Quell'ironia che si capovolge in continui apparenti paradossi ci sorprende ogni tanto a chiederci se il paradosso è tale che se ne possa ricavare immediatamente un fondo di verità oppure se il gioco si è svolto a nostre spese; a volte abbiamo il sospetto che esista un pendolare fra l'una e l'altra soluzione, ma che non sia sempre chiarissimo in quale punto del pendolo ci troviamo. E magari abbiamo appena preso una qualche decisione che un nuovo giro di frase ci trasporta in tutt'altra prospettiva, assolutamente imprevedibile in base a quanto letto fino alla riga precedente.
Quando Musil aveva annunciato il suo romanzo, aveva dichiarato che con esso voleva offrire la chiave per venire a capo dei problemi spirituali della nostra epoca. Ma quando il primo volume uscì risultò che esso era tutto dedicato alla "pars destruens", con un'arditezza di stile quale la letteratura tedesca non aveva mai visto. L'autore ironizzava sullo stesso suo romanzo, il quale non aveva proprio niente di romanzesco però conteneva una quantità di spunti che avrebbero potuto portarlo in quella direzione (un maniaco sessuale, un'adultera sentimental-moraleggiante, un'esaltata e altro ancora), solo che si faceva baluginare lo sviluppo romanzesco e poi lo si bloccava, anzi veniva interpolato un breve, regolare romanzo, ma per irrisione si trattava di un romanzetto da serve (che si svolge appunto fra un domestico e una cameriera). In un modo o nell'altro, e sempre attraverso salti di prospettiva, passa davanti al lettore un intero mondo, i problemi fondamentali della vita individuale dentro quelli di tutta un'epoca.
Qualunque occasione va bene: l'incontro con un magnate così come un amorazzo, un colloquio con un vecchio compagno di scuola come un incidente stradale, una riflessione sul proprio corpo come la visita di una biblioteca o una rissa da strada, il saluto di una prostituta, il resoconto di una conferenza. Niente è descritto perché resti al suo posto: la tazzina sulla mensola può campeggiare nello spazio alla maniera di Van Gogh, però non si trova in uno spazio ma in un momento pieno di superindividualismo e insieme di superoggettività; e i due che stanno discorrendo, ammesso proprio che li si voglia collocare in uno spazio, vi stanno pigiati e compressi perché sono resi turgidi e tesi dall'Indicibile, non perché manchino i metri quadrati.
Quest'uso della metafora, satirico nei confronti dei personaggi ai quali si riferisce, fa ondeggiare loro stessi e il mondo in cui credono di essere saldamente collocati. È questo il senso del primo volume: mostrare quanto siano illusorie le sicurezze di un mondo che si crede perfetto o almeno perfettibile, offrire strumenti a una critica permanente. Ma per non cadere in nuove illusioni e in nuovi dogmatismi, quegli strumenti devono essere capaci di criticare in primo luogo se stessi. La metafora infinita, che trasforma tutto in tutto, è essa stessa oggetto di critica se serve solo a fuggire da una soluzione all'altra e se tutto ciò che cerca si riduce a essere un'improbabile evasione. E tuttavia neanche su quest'uso sbagliato c'è da fare i saccenti, poiché anch'esso dimostra, come dice Musil, che attraverso la realtà traluce un desiderio di irrealtà, di possibilità, di un'altra prospettiva che forse potrebbe ridefinire e collocare tutti gli elementi della prima. Insomma - è il caso di ripeterlo - Musil offre l'esempio del processo infinito di una critica permanente.
L'autore aveva fatto un suo intenso passaggio attraverso la narrativa simbolista, e si vede; tuttavia l'inaudito sviluppo di quell'esperienza va di pari passo con la sua revoca, il suo mondo non è semplicemente "à rebours", come voleva Huysmans, ma è "à rebours du rebours". E in generale il romanzo replica e revoca una serie di esperienze culturali. Del resto non avrebbe avuto senso accingersi a quell'opera per sfoggiare una qualche verità precostituita. Però Musil voleva fare anche proposte positive.
A queste è dedicato il secondo volume, di cui pubblicò in vita la prima parte, mentre lasciò incompiuta la seconda. Lo stile cambia notevolmente, l'ironia viene lasciata cadere, oppure ripresa senza però raggiungere i risultati del primo volume. In compenso c'è un tale affinarsi delle riflessioni e un tale loro compenetrarsi con i luoghi e le situazioni che anche questo secondo volume costituisce un vertice, sia pure d'altro genere e non destinato a raggiungere la popolarità del primo.
La forma del romanzo era essenziale a Musil. Grazie al modo in cui la maneggia, le sue tesi non hanno niente del messaggio perentorio (pur avendo il diritto di essere prese sul serio e alla lettera) ma proposte fatte su personaggi da romanzo, delimitate dalla finzione romanzesca; per essere attivate hanno bisogno di una traduzione dai termini romanzeschi ad altri, cosa possibile se il lettore ci mette di suo l'emozione, la riflessione e la decisione necessarie, se cioè si costituisce come parte attiva. Quelle proposte passano attraverso la ricostruzione enciclopedica di un'epoca, la ripresa e conduzione a termine dei dibattiti cominciati nella "fin de siècle" austro-tedesca, quale quello sulla genialità, sull'uomo nuovo e liberatore ("Il Redentore" è stato addirittura uno dei titoli previsti per il romanzo), sulla mistica e via dicendo.
Negli ultimi anni della sua vita Musil riprende e sintetizza il suo confronto con Nietzsche (in particolare con il Nietzsche dell'"Anticristo"), con la psicologia della Gestalt (particolarmente fecondo quello con Kurt Lewin), con Ernst Cassirer ("Filosofia delle forme simboliche") e di nuovo e fortemente con Husserl ("Ricerche logiche"). Ne nasce il quadro, grandioso e tormentato, di quella che Musil chiamava a volte semplicemente la sua teoria, ma anche, con espressione più impegnativa, il suo sistema aperto.
Questo deve comprendere tutto quel che l'uomo pensa, sogna e vuole; ciò ha la sua sede e la sua realizzazione nel regno dell'amore e la sua espressione adeguata nel regno dell'aforisma, cioè in un intero che sia il più piccolo possibile. Il luogo dell'aforisma è la poesia, nella quale trova rifugio la verità personalizzata, con i suoi "pensieri vivi". A questi doveva approdare il secondo volume.
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