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Una delle mie affermazioni più frequenti è che i classici non si smentiscono mai, ed aggiungo: soprattutto quelli inglesi. E' stato scritto tempo fa, ma è di un'attualità disarmante. Ora che viviamo ugualmente in 'tempi difficili' per motivazioni che hanno origine ai tempi di pubblicazione di questo piccolo gioiello, assistiamo a dinamiche interpersonali che sono praticamente identiche ad allora. Relazione fra individui che si costruiscono e si autodemolscono alla luce di un sole fumoso che fa capolinea fra le ciminiere di Coketown e che illuminano .....il nulla, ma rumoroso. Gli unici punti di contatto fra le due (o tre) classi sociali esistenti si ha solo quando l'una si scopre senza sentimenti e guarda con curiosità quelli che ne animano l'altra: ma quando se ne accorge è ormai tardi per rimediare. Forse non è da ritenere il miglior romanzo di Dickens, ma consiglio di leggerlo a tutti, soprattutto a chi pensa che i tempi difficili in cui stiamo vivendo siano unici nella loro 'bruttezza' e si interrogano da dove traggano origine.
Un capolavoro. Scritto nel 1854 in piena seconda rivoluzione industriale, il libro tuona contro "la scuola dei fatti", ovvero contro quei maestri che vogliono ridurre i loro allievi a meri numeri privandoli del potere dell'immaginazione e inquadrandoli come operai di una fabbrica; l'autore critica appunto le fabbriche ree di alienare l'uomo e distruggere la campagna inglese: la sua descrizione della città di Coketown (città del carbone) e del paesaggio annerito dai fumi delle ciminiere ha fatto storia nella letteratura inglese e non. La reprimenda dell'autore non si ferma ai soli luoghi, ma investe la nascente società industriale: i nobili (sfruttatori) in primis, i (falsi) sindacalisti subito dopo. Su questo sfondo storico si innesta la storia di un padre-padrone "eminentemente pratico" che trasforma i suoi alunni e figli in automi senz'anima, proibendo loro di usare la fantasia e costringendoli ad utilizzare solo e soltanto "i fatti". Ovviamente i figli, cresciuti in siffato modo, si ritroveranno prigionieri del loro medesimo sistema educativo, riducendo la realtà circostante a numeri e percentuali. In pratica Dickens cerca di difendere le vittime del sistema (gli operai ndr) destinate ad essere stritolate dal ritmo monotono e alienante della fabbrica che si ripresenterà poi, anche (e soprattutto) nella vita sociale che dovrebbe essere vissuta, secondo l'autore, inseguendo la felicità: in pratica Dickens invita a "vivere piuttosto che sopravvivere". Il tutto condito dal suo sapiente e accattivante modo di scrivere, con un periodare fluido dominato dall'ipotassi (diverse proposizioni secondarie dipendenti da una principale) intervallato da lunghi incisi. Uno spettacolo i cognomi dei protagonisti che riflettono il carattere della persona: il sig. Gradgrind tradotto suonerebbe "dr. solitolavoro"; il sig. Bounderby, nobile di origini plebee "Corsa legata", Blackpool "Pozzonero", Harthouse "Casadicuori", infine il maestro Choakumchild "Soffoca-bambini".
Non ho avuto difficoltà a portarlo a termine: ho trovato bellissime le descrizioni, soprattutto quelle che caratterizzano i personaggi e quelle relative all'ambiente industriale della città immaginaria dove è collocata la storia; le tematiche sono sicuramente interessanti (quali l'educazione e l'industrializzazione). Personalmente non sono rimasta entusiasta dal "mio primo romanzo dickensiano". Forse avrei dovuto iniziare con "Oliver Twist"? Il dubbio mi è rimasto a distanza di tempo
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