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lettura tranquilla. in gran parte condivisibile sul piano teorico anche se lamento una qualche semplificazione concettuale
"Molti artisti e scrittori hanno pensato e pensano di avere un messaggio pubblico da enunciare senza essere per questo politici di professione.Per loro, l'arte non è solamente rivolta al piacere estetico, ha una funzione da svolgere nella società". Edgar Morin ha il merito di aver fatto luce con trasparenza stilistica speculativa sul concetto del sentimento estetico, da cui si origina " lo stato poetico" di chi prova piacere e meraviglia, nell'intima sua soggettiva emozione. Le opere, che sono oggetto di ammirazione e di apprezzamento estetico da parte nostra in pittura, in musica, in letteratura, a teatro, al cinema, suscitano in noi " il sentimento del sublime" fino a condurci "alle porte dell'estasi". Questo stato di incanto e quindi di esaltazione infonde sulla nostra psiche una sorta di trasfigurazione, cioè noi entriamo nell'opera, che amiamo, questa entra in noi e, attraverso il godimento, ci domina in uno stato di "trance" o di "possessione" operata da tutte le arti. Il brillante autore acutamente si sofferma sulla funzione dell'Artista impegnato nella società a noi contemporanea: egli "è l'erede dello sciamano e del profeta biblico", in quanto detiene "il più profondo e veridico sapere" quindi consapevolmente caricato di una propria missione. L'Artista denuncia e annuncia. Nella Conclusione Morin con lineare semplicità argomentativa ci rivolge un suadente invito : "E se con il sentimento estetico superiamo le nostre meschinerie, i nostri egocentrismi, questa estetica non suscita un'etica specifica, capace di farci comprendere che , come dice Dostoevskij, la bellezza potrebbe salvare il mondo?".
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