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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2024
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Sebald argomenta, con i consueti acume e senso della sfumatura, il silenzio, per non dire la rimozione, della letteratura tedesca sulla Germania devastata dai bombardamenti: un silenzio voluto, autoimposto, per evitare, più o meno consapevolmente, troppo imbarazzanti confronti con un passato di isteria collettiva trasformatosi in genocidio industrializzato.
...L'uomo può essere portato a distruggere se stesso.La distruzione secondo Sebald,ed il messaggio che egli ci vuole trasmettere non è legato solo alla natura ma soprattutto all'uomo. La guerra è il mezzo dell'autodistruzione umana e questo provoca di conseguenza un ribellione del mondo e della natura stessa,l'uomo si pone come fine ultimo l'autodistruzione...
Libro complesso quello di Sebald, viziato forse da un eccesso di vena polemica che si riesce a comprendere solo ricordando che si tratta pur sempre di atti di un ciclo di conferenze. Ha un grande pregio, quello di aver catalizzato finalmente una tendenza nella letteratura moderna tedesca e di aver aperto un nuovo importante ciclo di riflessione. Una intera generazione oggi in Germania si sta riconciliando con il proprio passato "scabroso". Intere famiglie stanno riportando alla luce drammi e tragedie che hanno segretamente segnato la vita di moltissime persone e che in qualche modo condizionano ancora a distanza il divenire delle nuove generazioni. E' un processo questo vasto e capillare che si svolge spesso nel chiuso degli studi psichiatrici o psicoterapeutici. Sebald si occupa prevalentemente di critica della letteratura e rimane sul vago quando parla di processi individuali di rimozione. Per capire meglio le sue riflessioni e' forse meglio affiancare qualche romanzo recente che nasce sulle stesse tematiche. Consiglio Timm " Come mio fratello" .
Recensioni
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La complessa vicenda della seconda guerra mondiale, sulla quale pur sono state scritte intere biblioteche, presenta a tutt'oggi non pochi "buchi", determinati da una salda censura, o autocensura, da parte della storiografia che se ne dovrebbe occupare per mestiere. Una censura, o autocensura, alla quale solitamente è appaiata una forte pressione da parte dell'opinione pubblica.
Nel caso della Germania, protagonista (in negativo) del conflitto, avendo disseminato l'intero continente di crimini e violenze senza precedenti nella storia, vi sono alcuni aspetti rilevanti dell'esperienza collettiva di guerra che sono stati lungamente rimossi o messi in un canto sia dalla storiografia che dalla "memoria collettiva". Possiamo da un lato citare le espulsioni forzate a fine guerra, che provocarono un movimento caotico e drammatico di 12-14 milioni di persone da oriente verso occidente. Si trattava di cittadini che si ritenevano (o erano ritenuti) di cultura e provenienza tedesca, espulsi dai territori nei quali vivevano dalla concomitante pressione dell'Armata rossa, che avanzava in una scia di violenze e di vendette, e delle popolazioni autoctone (polacchi e cechi soprattutto), desiderose di vendicarsi e/o di prendersi i terreni e i beni dei tedeschi, che negli anni della guerra l'avevano fatta da padroni. La terribile vicenda delle espulsioni ha provocato forse un paio di milioni di vittime civili e suscitato conseguenze durevoli nella società delle due Germanie del dopoguerra, costrette ad accogliere questo fiume di sradicati. Anche se il tema è stato a lungo oggetto delle preoccupazioni politiche dei governi della Repubblica federale (gli espulsi costituivano un bel gruzzolo di elettori), tanto da provocare l'istituzione di un apposito ministero, non si può dire che esso sia entrato in modo stabile nella memoria collettiva dei tedeschi. Si è piuttosto ritagliato una nicchia, a cui era facile attingere per presentare i tedeschi come vittime, soprattutto negli anni della guerra fredda; in fondo, il motore di queste espulsioni era stata l'Unione Sovietica con il suo aggressivo espansionismo. Che il tema non fosse così profondamente radicato lo ha dimostrato da un lato la relativa facilità con cui dopo la caduta del sistema comunista è stato possibile tenere a bada le pretese degli espulsi (o dei loro eredi) di rientrare in possesso dei beni strappati loro nel 1944-1946.
Il secondo "buco" nella memoria collettiva ha riguardato finora la questione dei bombardamenti, ai quali sono state sottoposte ripetutamente tutte le principali città tedesche fra il 1943 e il 1945. Bombardamenti che hanno provocato svariate centinaia di migliaia di vittime e fatto sì che alla fine della guerra vi fossero oltre sette milioni di senzatetto. Certo, a tutti sono note le immagini delle città rase al suolo (basti pensare allo splendido film Germania anno zero di Rossellini); ma a lungo è parso quasi che non si sia voluto parlare apertamente del colpevole di tutto ciò. Il tema si attagliava bene a rinsaldare l'immagine dei tedeschi come vittime della guerra, di Hitler, del comunismo, ecc. Ma la memoria dei bombardamenti e delle loro vittime è stata tenuta ai margini della memoria collettiva. Per quali motivi?
Anche il libro di Sebald, che raccoglie i testi di un ciclo di conferenze tenute dal giovane romanziere a Zurigo, non offre risposte adeguate al quesito, che non ci appare privo di fondamento. Si potrebbero fare comunque alcune ipotesi. Se il clima della guerra fredda, che ha permeato così profondamente la cultura tedesca (stiamo parlando della Repubblica federale), era particolarmente favorevole alla diffusione delle rivendicazioni degli espulsi dalle province orientali, non altrettanto si può dire per i bombardamenti, i cui protagonisti sono stati gli Alleati occidentali. Inoltre, il tema dei bombardamenti è stato strumentalizzato dalle destre neonaziste, che per decenni hanno cercato di equiparare Dresda a Hiroshima, mettendo sul piatto della bilancia le innocenti vittime civili dei bombardamenti con l'intento non particolarmente celato di relativizzare i crimini compiuti dal nazionalsocialismo e soprattutto lo sterminio degli ebrei.
Sebald mette l'accento sulle scarne tracce che dei bombardamenti e delle loro vittime troviamo nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra, con poche eccezioni. Da queste eccezioni Sebald trae pagine di spaventoso realismo; ricostruisce le terribili sofferenze della popolazione civile, ridotta ai livelli più bassi della civiltà dal mare di bombe e di fuoco scatenato dal cielo dai bombardieri inglesi e americani. Quindi, a ben vedere, non è che nella letteratura di finzione tedesca del dopoguerra il tema sia stato del tutto trascurato. Analogamente si può dire per la storiografia, che ha prodotto non pochi studi approfonditi sul tema. Ma è soltanto in questi ultimi anni che il tema è stato fatto proprio dall'opinione pubblica in tutta la sua complessità. Le conferenze di Sebald hanno suscitato vaste reazioni da parte dei lettori, come attesta l'autore nelle pagine conclusive della prima parte del libro. Analogamente, il libro di Jörg Friedrich, Der Brand. Deutschland im Bombenkrieg (La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati, recensito in questa stessa pagina), ha visto nel solo anno di pubblicazione (il 2002) ben tredici ristampe, con un successo di pubblico raro per una ponderosa opera di storia.
Sebald avanza l'ipotesi che quello dei bombardamenti sia stato il "capitolo principale nella storia del dopoguerra tedesco". Non si può negare che la società tedesca venne duramente colpita dai bombardamenti, sia sul piano economico che (soprattutto) sul piano spirituale e psicologico collettivo. Tuttavia, a me pare che farne il - mancato - centro della memoria collettiva dei tedeschi dopo il 1945 significhi andare oltre le dimensioni del fenomeno. Chi scrive ha avuto modo di studiare la documentazione archivistica relativa agli interventi dello stato e del partito nazionalsocialista per cercare di alleviare, per quanto possibile, le sofferenze dei civili bombardati e sfollati. Il regime si sforzò di intervenire e in tal modo è riuscito a ridurre le conseguenze dei bombardamenti sulla tenuta della popolazione civile. Era questo, infatti, l'obiettivo degli Alleati: provocare il crollo psicologico della popolazione o addirittura una rivolta contro il potere di Hitler. Basti fare un confronto con quanto avvenne in Italia, dove i bombardamenti sulle città, pur di dimensioni più ridotte, furono uno dei motivi della crisi e della decomposizione del regime fascista nell'estate del 1943.
A me pare che da questo punto di vista Sebald, pur offrendo alcuni interessanti squarci di ricostruzione delle ferite profonde lasciate dai bombardamenti sulla società civile, non colga il punto decisivo. Decisivo mi sembra sia chiedersi perché proprio in questi ultimi due-tre anni la letteratura e la storiografia abbiano decisamente sfondato il muro del silenzio: Günther Grass sulla questione degli espulsi con il suo più recente romanzo Il passo del gambero, Sebald e - sul versante propriamente storiografico Friedrich - sul terreno dei bombardamenti.
A mio avviso siamo di fronte a una "normalizzazione" della coscienza tedesca nel contesto dell'ormai superata duplice statualità e dell'espansione dell'Unione Europea verso quei paesi che dal 1939 al 1945-46 furono vittime (e poi cercarono di vendicarsi) della barbarie nazionalsocialista. Una normalizzazione che si va definitivamente compiendo dopo un percorso abbastanza tortuoso, una delle cui ultime tappe è stato il lungo dibattito che nella seconda metà degli anni novanta ha accompagnato la presentazione nelle principali città tedesche e austriache della mostra sui crimini della Wehrmacht. Sebald, purtroppo prematuramente scomparso nel 2001, potrebbe perciò essere letto come un attento apripista; le sue lezioni risalgono al 1997 e hanno suscitato una grande sensazione nel pubblico tedesco. E questa normalizzazione della memoria collettiva tedesca non può che giovare alla faticosa costruzione di una memoria collettiva europea, che superi finalmente i traumi della guerre e dei dopoguerra.
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