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Fino al 1978 in Italia vigeva una legislazione sull’aborto regolata dalle norme del codice Rocco, una triste eredità del fascismo, che prevedeva, a salvaguardia dell’integrità della stirpe, pesanti sanzioni penali per il medico e per la stessa donna che si sottoponesse alla interruzione della gravidanza. Nessuna eccezione era prevista e questa normativa restrittiva accomunava l’Italia ai paesi più arretrati culturalmente del 3o mondo. Dopo un parere parzialmente permissivo della Corte costituzionale emanato nel 1975, grazie alle vigorose provocatorie campagne portate avanti dai radicali, che organizzarono anche una struttura, il Cisa (Centro italiano sterilizzazione aborto), in cui le donne stesse intervenivano attivamente applicando il semplice metodo Karman, il Parlamento partorì faticosamente una legge, la 194 del 22 maggio 78, che regolava in maniera più moderna la spinosa e dibattuta materia. La legge ha radicalmente cambiato la normativa che regola in Italia l’interruzione della gravidanza (I.V.G), permettendo l’esecuzione della stessa nei primi novanta giorni di gestazione in una casistica molto ampia di casi, che vanno dalle indicazioni mediche a quelle sociali e psicologiche. È una tra le leggi più liberali al mondo, che si basa esclusivamente sulla volontà della donna, con ben poche restrizioni, anche se è inficiata dalla nascita da un grave peccato originale: l’ipocrita compromesso tra forze di sinistra e cattolici, frutto dell’ambiguo clima politico dell’epoca. Nel 1981 due referendum abrogativi, uno sollecitato dall’area cattolica, la quale mirava a sradicare la legge abolendo completamente i risultati conquistati ed uno portato avanti dall’area radicale, che desiderava realizzare una piena depenalizzazione dell’aborto, furono portati all’attenzione del corpo elettorale che, con diverse percentuali li respinse entrambi. La legge ha avuto sempre una parziale e difficoltosa applicazione soprattutto nel sud del paese, per gli ostruzionismi che larghe fette del potere hanno costantemente esercitato.
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