Le sei "biografie infedeli" che componevano Città distrutte, il libro con cui Davide Orecchio aveva esordito due anni fa, avevano fatto capire che era nato in Italia uno scrittore dalla voce originale e potente: quella splendida raccolta di racconti era valsa a Orecchio qualche premio prestigioso (Mondello, SuperMondello e Volponi), il plauso pressoché unanime della critica e un senso d'attesa nei lettori per il prossimo libro. Sotto il magistero di Borges e W.G. Sebald, in Città distrutte si raccontavano le vite immaginate di sei personaggi messi di fronte ai grandi snodi della storia del Novecento: erano storie di esuli, povertà ed emigrazione che s'intrecciavano con i momenti e i luoghi capitali del secolo breve come il fascismo, l'Unione sovietica, l'Argentina dei desaparecidos. Basato su fonti d'archivio (e dunque figlio di un grande lavoro di documentazione), il libro letteralmente inventava delle vite paradigmatiche e le faceva raccontare da un autore che si fingeva il loro biografo. Questo bellissimo Stati di grazia, l'atteso secondo libro e in qualche modo la prova del fuoco per Orecchio, ricalca in parte questo principio, anche se lo amplia e, nella forma, spesso lo stravolge. Anzitutto, si tratta di un romanzo e non di una raccolta di racconti: se è vero che ognuno dei capitoli che compone il libro può essere letto come un racconto a sé, giacché narra, per così dire dall'inizio alla fine, la "biografia infedele" del personaggio intorno a cui è costruito, vi è nel romanzo un'unità di tempo e spazio che Città distrutte non possedeva: sono due i luoghi fondamentali, l'Italia e l'Argentina, raccontati a partire dagli anni cinquanta fino a lambire la fine del secolo, ma con un'attenzione particolare riservata agli anni settanta, quelli della dittatura in Sudamerica e del piombo in Italia. Si comincia nella Sicilia del dopoguerra con uno stratagemma borgesiano: Paride Sanchis, maestro elementare sconfitto, marito e padre mal tollerato, in seguito alla morte in miniera di uno scolaro e a dei colloqui con la memoria di suo fratello scomparso in guerra, sembra voler partire per l'Argentina; compra il biglietto ma lo dà al padre dello scolaro morto: è così l'"altro Paride" a partire e a dare il via a quella girandola d'incontri, lotte, amori, sofferenze, pulsioni erotiche e politiche che sono il nerbo di Stati di grazia. Nella sua lunga e dolorosa vita l'altro Paride conosce e perde una donna, uccisa durante la dittatura dei generali in uno dei capitoli più secchi e violenti del libro, vive in un paesino del nord, Hölderlin, che, al pari di Buenos Aires, attira e respinge quasi tutti i personaggi della parte argentina del romanzo; ed è proprio questo l'escamotagenarrativo che usa Orecchio per costruire la vicenda: i personaggi s'incontrano, si amano, si aiutano, emigrano insieme, ma hanno tutti, oltre che una storia, anche un luogo in comune che in qualche modo ne ha segnato profondamente le vite. Orecchio è uno scrittore profondamente tragico: egli mette delle singole vite "normali" al cospetto dei grandi drammi della storia. La sua penna misura la tragedia dell'uomo comune sovrastato dagli avvenimenti, fa muovere da un mondo all'altro generazioni di tipografi, braccianti, maestri di scuola obbligandoli a prendere parte al flusso degli eventi e alla catastrofe di un secolo. L'individuo di Orecchio subisce, si ribella, fugge, cerca disperatamente un proprio posto nel mondo e molto spesso non fa in tempo a trovarlo, perché il mondo va più veloce di lui. In Stati di grazia, tutto questo è raccontato con un registro linguistico incredibilmente ricco: ogni capitolo ha una propria forma (il diario, il resoconto redatto da un autore onnisciente, l'interrogatorio e così via) e una propria lingua, tanto che si direbbe che a ogni personaggio sono stati assegnati una voce e uno stile: alle liste e gli elenchi con cui il "vero" Sanchis ricostruisce la realtà e si appropria del mondo fanno da controcanto, per così dire, le citazioni colte di Aurora Maturàno o i brani più à la Città distrutte, in cui sembra essere Orecchio stesso a prendere la parola per ricostruire una vita con il piglio dello storico. La continua modificazione degli stili e delle voci sembra riflettere l'irrequietezza e la precarietà delle vite che si raccontano: questo è un libro di personaggi che fuggono e che non trovano un centro, sembra dire Orecchio, dunque anche il modo in cui tutto questo viene raccontato fluttua, si sperde, esplode in una moltitudine di voci e punti di vista. Su tutto spicca quello che è senza dubbio il valore più grande di Stati di grazia, la concezione della letteratura che l'autore fa trapelare: egli racconta vite di testimoni della storia e, per farlo, studia, si documenta e si fa testimone egli stesso. La letteratura è dunque, tra delle forme della testimonianza, quella che è data a chi non ha vissuto direttamente le tragedie che racconta, ma sente in ogni caso la necessità di farsene portavoce: si scrive insomma per raccontare le vite di chi la storia l'ha conosciuta e subita davvero. Andrea Tarabbia
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