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Spositione a XXIX canti dell'«Inferno» - Lodovico Castelvetro - copertina
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Spositione a XXIX canti dell'«Inferno»
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Spositione a XXIX canti dell'«Inferno» - Lodovico Castelvetro - copertina

Descrizione


Assai distante dalla tradizionale prassi esegetica e soprattutto dalle diverse declinazioni dell'approccio landiniano realizzate nei XVI secolo, la Spositione di Lodovico Castelvetro da Modena (1505-1571) assume una fisionomia particolare riconducibile allo statuto intellettuale del suo autore. Filologo, grammatico, ma soprattutto critico severo alieno da ogni dogmatismo, Castelvetro matura un interesse per Dante contestuale al vaglio delle due massime autorità del Cinquecento, Pietro Bembo e Aristotele. Risolta nella Ragione (1559) e nella Giunta (1563) la questione della lingua della Commedia senza mettere in discussione l'appartenenza di Dante al canone volgare, al Modenese non resta che valutare il poema alla luce del vasto repertorio di norme desunte dal commento alla Poetica di Aristotele concluso nel 1567 a Lione, la terra che lo accoglie esule dopo la condanna per eresia. Ultimata proprio a Lione, e qui andata perduta nell'infuriare delle lotte tra cattolici e ugonotti (1567), la Spositione viene riscritta a Vienna tra il 1569 e il 1570 da un Castelvetro che, debilitato nel fisico e ormai prossimo alla morte, ne arresta la stesura al ventinovesimo canto agl'Inferno. Ma non è neppure da escludere che alla base dell'interruzione vi fosse l'urgenza di replicare all'Hercolano di Benedetto Varchi, a chiudere la storica polemica con l'acerrimo rivale Annibal Caro. Il metro di giudizio castelvetrino è la conformità delle terzine all'aristotelica verosimiglianza, intesa sia come coerenza interna della favola sia come suo adeguamento alle coordinate culturali e linguistiche del lettore. Il profondo scollamento con la cultura medievale che ne deriva, evidente nella riduzione della visio dantesca a mera questione di poetica, è desumibile dallo stesso repertorio di fonti con cui Castelvetro conduce la sua esegesi: si tratta di una variegata scelta di testi greci, latini e volgari con cui egli valuta la conformità del dettato tanto a ciò che è noto per tradizione - ad esempio la rappresentazione dei mostri infernali - quanto alle soluzioni lessicali, giudicate valide solo se garantiscono al lettore la comprensibilità del messaggio. L'edizione, condotta sul ms. autografo Deposito Collegio di San Carlo, F 2 1, della Biblioteca Estense Universitaria di Modena, sostituisce la princeps pubblicata alla fine dell'Ottocento per le cure di Giovanni Franciosi (Modena, Soliani, 1886). Il testo è accompagnato al piede da un apparato diviso in due fasce, una ecdotica e una esegetica, quest'ultima con segnalazione delle fonti, il cui indiscusso interesse ha indotto alla stesura di uno specifico. Indice in chiusura di volume.
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Dettagli

2017
25 maggio 2017
536 p., Rilegato
9788869730092

Conosci l'autore

(Modena 1505 - Chiavenna, Sondrio, 1571) letterato italiano. Condannato in contumacia dall’Inquisizione (1556) sotto accusa di eresia, forse anche in seguito all’aspra polemica sostenuta con A. Caro (1553), riparò all’estero. Fra le sue opere si ricordano un rigoroso commento al Canzoniere di Petrarca (postumo, 1582) e un volgarizzamento della Poetica di Aristotele che fece testo nei dibattiti letterari del secolo («Poetica» d’Aristotele vulgarizzata et sposta per L.C., 1570): egli sottolineava l’importanza primaria dell’originalità della «invenzione» e faceva (razionalisticamente) consistere la poesia in un «meraviglioso verisimile» che deve «dilettare e ricreare il popolo commune». Abbozzò inoltre una grammatica storica e sistematica e intervenne nella questione della lingua con le Giunte...

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