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Straordinario, letto in 3 giorni, letteralmente incollata al libro
Starnone mi è piaciuto nei suoi libri sulla scuola. questo invece mi pare proprio bruttino, poco credibile, costruito a tavolino e cerebrale nonostante il tema, soprattutto nella storia troppo forzata di Tosca
Ci sono libri piacevoli da leggere, ma che ti lasciano poco. Altri che hanno la pretesa di essere capolavori, ma pesanti, troppo. E poi c'e' la letteratura. 'Spavento' e' letteratura: si fa leggere dalla prima all'ultima pagina, e ti smuove 'qualcosa' dentro, un lampo. Che resta anche dopo che hai chiuso il libro.
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Il pensiero contemporaneo, da Heidegger a Baudrillard, ha mostrato, da varie prospettive, come il mondo moderno sia caratterizzato da un clamoroso occultamento: la rimozione della morte, frutto dell'illusione di essere eterni, al riparo dalla malattia e dal deperimento. Quasi a compensare questa rimozione, la letteratura occidentale dell'Otto-Novecento ha individuato nella morte e nella malattia i suoi temi forse più peculiari: basti pensare a La morte di Ivan Il'ič di Lev Tolstoj, a La montagna incantata di Thomas Mann, a L'animale morente di Philip Roth o, per quanto riguarda l'Italia, al bel racconto di Moravia Inverno di malato; ma gli esempi, più o meno alti, sarebbero infiniti.
Entro questo filone si colloca l'ultimo romanzo di Domenico Starnone, Spavento, che fin dal titolo pone l'accento sulla paura provocata dalla visita inattesa della malattia e della morte. Al centro della vicenda vi è Pietro Tosca, un affermato sceneggiatore quasi settantenne che scopre all'improvviso, a causa del sangue che trova nella proprie urine, di essere minacciato da un'imprecisata quanto grave malattia. Tosca sembra però rifiutarsi di prendere contromisure di fronte a questi allarmanti sintomi, tanto che quando, cedendo alle premurose insistenze della moglie, effettua finalmente le opportune analisi, scappa dalla clinica senza nemmeno attendere di conoscerne l'esito. Non basta: la sua carriera, al pari della sua salute, sembra essere minacciata dall'arrivismo di due giovani, Ornella e Gianfranco, che, per migliorare le proprie rispettive posizioni, cercano in qualche modo di servirsi di Tosca, se non addirittura di sostituirsi a lui.
Questa storia è però, in realtà, un libro nel libro, dato che in Spavento le vicende di Tosca si intrecciano con quelle di Starnone stesso, che si racconta in pagine dall'evidente timbro autobiografico. Ora, la mise en abyme narrativa è una tecnica vecchissima che risale agli esordi stessi del romanzo (si pensi al Don Chisciotte di Cervantes), ma il modo in cui Starnone la applica è certamente singolare: di rado, infatti, due storie nella storia avevano raggiunto un così alto coefficiente di compenetrazione. Tra la storia di Tosca di cui il narratore descrive la complicata gestazione e a cui assegna il titolo antifrastico La morte allegra e quella di Starnone, le separazioni sono ridotte al minimo, anzi: i due plot si incrociano e si sovrappongono di continuo, come se fossero legati da un filo invisibile ma resistentissimo, a cui potremmo dare anche il nome di destino.
Si dà il caso infatti che, mentre è impegnato nella stesura della Morte allegra, l'autore finisca per ammalarsi egli stesso, e, per di più, di un morbo i cui sintomi non sono troppo dissimili da quelli del male che affligge Tosca. Se quest'ultimo ha problemi con le urine, il narratore, da parte sua, riscontra anomalie nelle proprie feci, scoprendo poi di avere la melena. Si ricovera dunque in ospedale, dove avrà come compagno di stanza un ingegnere taciturno e misterioso, con cui piano piano instaurerà un rapporto di sempre più intima complicità: "Eravamo diventati sodali, vale a dire associati nella religione della sofferenza, nello scontro con la mala sorte". A parziale compensazione dei tipici disagi che chiunque sia stato ricoverato in un ospedale, anche per un breve periodo, ben conosce, vi è infatti una singolare solidarietà che, nei luoghi ospedalieri, crea ponti emotivi e psicologici tra persone che nella vita di tutti i giorni non avrebbero avuto nulla da dirsi.
Una volta che l'ingegnere viene dimesso, il suo posto verrà preso da un ottantenne professore di filosofia in pensione che coinvolgerà l'autore in complesse discussioni su temi metafisici e teologici. Dopo un'iniziale antipatia, il narratore finirà per solidarizzare anche con il vecchio professore, che lo aveva sollecitato a riflettere su alcuni aspetti della religione cristiana. Nelle pagine sull'ospedale la scatologia si intreccia all'escatologia, le riflessioni sulle cose ultime alla meticolosa osservazione delle feci: "Mi ero autoconferito una missione sublime di aruspice, ed eccomi invece a spiare la mia vera unica produzione che davvero contasse, questa merda sul fondo della tazza". L'esperienza ospedaliera modificherà e segnerà profondamente anche l'evolversi della Morte allegra, tant'è che a Tosca l'autore attribuirà alcune caratteristiche dell'ingegnere con cui aveva condiviso la stanza d'ospedale. Tra le quali, la disperata vitalità che spinge il vecchio e malato Tosca, che si sente con un piede nella fossa, a contattare una prostituta per chiederle di accompagnarlo a una cena in un ristorante di lusso, per poi concludere la serata in un hotel altrettanto sfarzoso. Come nella Grande abbuffata di Ferreri, esplicitamente evocata nel romanzo, la passione per il cibo si fonde con quella per il sesso; ma, a differenza del film, il libro non si chiude in modo apocalittico. L'appuntamento di Tosca con la morte, per il momento, è ancora rinviato.
Raoul Bruni
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