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Ciò che eleva Lauzier al di sopra di gran parte, se non tutti, gli altri fumettisti satirici è il suo essere ancora attuale, l'oggetto della sua critica è ancora vivo e vegeto e non c'è la necessità di averlo vissuto per comprenderlo. Gli ambienti radical chic, la crisi e la falsità borghesi esistono ancora e questo dittico è universale perché affianca la figura dell'artista e la critica all'intellettualismo. Lauzier è un filosofo, mezzo architetto, poi grafico pubblicitario e solo da quarantenne fumettista, poi fu anche regista (trascorso dimenticabile) ed altre cose. Lauzier viene accostato a Houellebecq, ma è chiaramente un capofila, uno che ha vissuto quegli ambienti veramente e ne ha iniziato a parlare sin da subito; è una delle personalità più influenti del secondo novecento e questo ripescaggio da parte di Rizzoli è molto gradito, nonché sembra abbia riscosso un felice consenso ed anche l'ovvio premio Micheluzzi per la riedizione di un classico quest'anno a coronarlo. Lauzier criticava la sinistra quando allora era impensabile farlo. Lauzier era un reazionario, non era di destra, picchiava anche a destra, ma il post '68 era in voga, la sinistra aveva perso valori proclamati e meritavano sberle. Il padre del protagonista è uno sciovinista, critiche anche a lui ma non è niente rispetto a ciò che riserva al protagonista. Nella prefazione si dice che "Leggere Lauzier fa male". Come si fa a non essere d'accordo? Esiste un fumetto più lucido? Uno che descriva qualcosa (un'intera generazione, anzi categoria) in modo così veritiero? Senza iperboli surrealiste e simboliche poi. Il contrasto tra la falsità del testo e la verità del disegno è qui, in Ritratto d'Artista, al suo apice e per questo è la sua opera più squisitamente fumettistica. Non si discute il testo, straordinario nella prima e seconda parte, come del resto è così in tutti gli altri fumetti di Lauzier, ma il disegno e i colori (non suoi nel secondo) subiscono un netto miglioramento. Grazie, Rizzoli.
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