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Attraverso una scelta di scritti pubblici e privati, di poesie e di lettere, Soltanto una vita ripercorre la biografia di Laura Lombardo Radice, nata a Fiume nel 1913, e scomparsa nel 2003, ma è insieme la storia di una famiglia comunista che copre l'intero arco del Novecento, e che è stata ricostruita dalla figlia Chiara con una scelta molto felice dei temi. Il libro illustra non solo un percorso politico e intellettuale, ma anche e soprattutto un'esperienza umana in cui pubblico e privato si intrecciano e si illuminano reciprocamente e in cui ogni stagione della vita ritrova un significato in rapporto alla capacità di rapportarsi agli altri e ad altrettanti passaggi cruciali della storia.
La formazione giovanile di Laura e l'incontro con la politica alla fine degli anni trenta rappresentano già l'itinerario di un'intera generazione e permettono di seguire, al di là di ogni banalizzazione e contraffazione care al cosiddetto "revisionismo", il passaggio all'antifascismo e la scelta comunista di tanti giovani intellettuali in tutti i loro complessi e anche sofferti risvolti culturali, politici ed esistenziali. Per Laura, come per tanti altri, si pensi al fratello Lucio, ma anche a una figura che ricorre continuamente in queste pagine, e cioè all'amico Giaime Pintor (verso il quale c'è sempre il rovello di un debito mai compiutamente saldato), è un percorso che si apre con la guerra di Spagna. e che nasce da una inquietudine e da un disagio anzitutto di tipo esistenziale, di fronte alla radicalizzazione totalitaria del regime fascista, alla sua pretesa di omologare ogni ambito della sfera pubblica e anche privata e alla sua deriva bellicistica. È una scelta che nasce da un bisogno di autonomia e di riscatto della propria dignità mortificata dal fascismo e che passa attraverso la ricerca di una cultura autentica da coltivare, come la musica, in libere cerchie di amici nel loggione dell'Augusteo, nelle discussioni letterarie tra Goethe, Thomas Mann e Conversazioni in Sicilia di Vittorini, e nell'uso creativo del tempo libero. Tuttavia, a mano a mano che l'Italia e l'Europa vanno verso la catastrofe, a ciò si aggiunge un bisogno di agire che non è solo rifiuto del fascismo, ma è anche rottura con un antifascismo passivo e rivolto verso il passato quale si è trasmesso attraverso l'ambito familiare e lo stesso messaggio crociano, da cui questi giovani avevano cercato di trarre la loro prima ispirazione.
In sostanza, è quello il momento della consapevolezza che la cultura non basta più. Ci vuole la politica. La scelta della cospirazione, che seguì all'arresto di Lucio e di altri giovani del gruppo comunista romano, rappresenterà una forma di emancipazione dalle stesse tradizioni familiari liberali e crociane e sfocerà quasi naturalmente nell'adesione al Partito comunista come forza più determinata e più conseguente della lotta antifascista negli anni in cui il futuro era più incerto e in cui si sentiva il bisogno di fare qualcosa - sono parole di Laura - per "uscire dall'incubo". E poi l'impegno nella Resistenza romana, in particolare nel lavoro tra le donne, che l'avrebbe portata in viale Giulio Cesare in quella tragica mattina in cui i militi di Salò uccisero Teresa Gullace. Per Laura la lotta antifascista e la Resistenza avrebbero costituito una "scuola di responsabilità", ma anche l'occasione del primo incontro con le classi lavoratrici, con gli operai e con le donne dei quartieri popolari e delle borgate di Roma, in un'esperienza di partecipazione e di democrazia reale, che già prefigurava "un vicino futuro di rinnovamento. Anzi era già rinnovamento".
Ma per le giovani comuniste (e non solo per loro) la Resistenza fu anche l'occasione per affermare una propria autonoma identità in un'esperienza collettiva che vedeva le donne uscire da una condizione di subalternità, per divenire esse stesse protagoniste della rinascita democratica e civile del paese. Scriverà Laura nel 1973 che "le donne di Roma - in situazioni diverse, in una lotta politica a vari livelli - erano dentro e non fuori o ai margini della Resistenza. Esse ponevano le basi - lo sentivano ogni giorno di più - per la partecipazione della donna alla vita politica nazionale". Vi era però di più: in Laura era chiara la consapevolezza, e questo anche in anticipo sulle acquisizioni della successiva storiografia, di una partecipazione a tutto campo che non escludeva la lotta armata (a cui presero parte "con cuore di donna" giovani comuniste come Carla Capponi, Marisa Musu, Maria Teresa Regard), ma che investiva tutti gli ambiti della resistenza politica e di quella che oggi chiamiamo la resistenza civile: la stampa e i manifesti clandestini, gli scioperi e la protesta sociale, la disubbidienza civile e l'assistenza ai perseguitati. E qui si segnalano le pagine in cui Laura ricorda una a una le donne della Resistenza romana, le riunioni di via della Giuliana con le mogli degli operai di Trionfale, le maglieriste di via Monte del Gallo, le impiegate delle poste che fermavano le lettere di denuncia ai comandi di polizia, le liceali del Tasso e le studentesse universitarie che uscivano di notte a fare le scritte murali, che furono per mesi staffette, diffonditrici di manifesti, portatrici di armi, gli assalti ai forni, la manifestazione a Santa Maria Maggiore in ricordo dei fucilati delle Fosse Ardeatine o il corteo in piazza San Pietro.
Seguirono la svolta della Liberazione, le speranze di libertà e di progresso rese più forti dal mito dell'Urss (ancora lontano era il "trauma" del 1956), ma anche e soprattutto l'Assemblea costituente, il diritto di voto alle donne e i compiti enormi della costruzione della democrazia, di cui una componente essenziale fu proprio il Pci come "partito nuovo", con la sua funzione di acculturazione e di inclusione politica e civile delle classi lavoratrici e degli strati popolari disgregati delle borgate romane; e infine i problemi della restaurazione moderata degli anni cinquanta e della difficile resa dei conti con il passato fascista, auspice la chiesa di Pio XII, autentico referente di quella che era stata durante l'occupazione la "zona grigia", nel momento in cui larghi strati della popolazione mostravano di considerare il fascismo soltanto una "nebulosa del passato".
Dopo la Liberazione la vita di Laura sarà costellata ancora di riunioni nelle sezioni del Pci, dai comizi di quartiere, dal lavoro di scrutatrice nei seggi elettorali, che proseguirà sino a quando non le mancheranno le forze, nonché da un'intensa attività giornalistica su "Noi Donne" e "l'Unità". Di questi articoli, "buttati giù di sera, di notte o mentre le bambine erano fortunosamente da qualche parte", sono ripubblicati qui alcuni piccoli gioielli letterari, come i ritratti della Monaca di Monza o di Madame Bovary; oppure, come quello più tardo intitolato La morte a Roma , costruito magistralmente sui sonetti del Belli. Come tante altre donne della sua generazione, Laura non diverrà, tuttavia, una funzionaria di partito a tempo pieno o una parlamentare. Sceglierà invece di continuare nella sua professione di insegnante di materie umanistiche e si dedicherà con sempre maggiore impegno ai temi della riforma della scuola e dei programmi d'insegnamento, con particolare riferimento alla storia, avendo sempre come punto di riferimento la sua funzione "non enciclopedica ma ordinatrice e di riflessione". Negli anni che seguirono Laura visse con forte partecipazione le vicende della scuola italiana, dove si trovò ad affrontare la protesta giovanile del Sessantotto con l'intento di "capire il pensiero dei giovani anche quando non coincide con il mio", entrando anche talvolta in conflitto con le autorità scolastiche, ma guardò con giovanile entusiasmo anche al maggio francese. Non perse tuttavia il gusto della rievocazione vivace e colorita, riservandovi le sue doti di osservatrice acuta e ricca di ironia, come nella rievocazione di un intellettuale dirigente del Pci "che sapeva tutto, capiva tutto: soprattutto le masse: si affacciò al balcone di Botteghe Oscure, il giorno dei funerali di Togliatti e profetizzò, funereo: non verrà nessuno".
Rimarrebbe da accennare agli ultimi anni di Laura, all'attività di insegnante che dedicò dopo il pensionamento alle attività formative, culturali e teatrali del carcere romano di Rebibbia. Con quale spirito l'avesse affrontata, traspare chiaramente da un articolo scritto nel 1985: "Si disilluda chi crede che insegnare in carcere sia una bellissima attività caricativa: è invece una splendida sofferta attività di autoeducazione. E perciò davvero valida. Vi ringrazio amici studenti detenuti: da voi, con voi, ho imparato molto. È stato uno scambio, un arricchimento, che continua, che non si esaurisce nelle ore di lezione perché 'dare e ricevere sono la stessa cosa', dice J. L. Borges in una frase, un pensiero che vorrei vedere scritto sui muri, a caratteri forti".
Claudio Natoli
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