Indice
Le prime pagine del libro
Tomás decide di andare a piedi.
Dal suo modesto appartamento in Rua de São Miguel nel malfamato rione di Alfama al palazzo signorile dello zio nel quartiere residenziale di Lapa, è una bella camminata che attraversa quasi tutta Lisbona. Ci avrebbe impiegato un’ora buona. Ma la mattina è sbocciata, luminosa e tiepida, e camminare lo calmerà.
Tanto più che Sabio, uno dei domestici dello zio, ieri è passato a prendere la valigia e il baule di legno con i documenti necessari per la sua missione sulle Alte Montagne del Portogallo, e a lui resta da trasportare soltanto se stesso.
Controlla il taschino della giacca. Il diario di Padre Ulisses è lì, avvolto in un panno morbido. È da incoscienti portarlo in giro con tanta noncuranza. Smarrirlo sarebbe una catastrofe. Se avesse usato il buonsenso, l’avrebbe lasciato nel baule. Ma stamattina ha bisogno di un supplemento di sostegno morale, come ogni volta che va a trovare lo zio.
Nonostante l’eccitazione, ricorda di rinunciare al bastone che usa di solito e prende quello che gli ha regalato lo zio. Il manico è in avorio di elefante e l’asta è in mogano africano, ma ciò che lo rende diverso dagli altri è in particolare lo specchietto rotondo che sporge di lato, appena sotto il manico. Lo specchio è leggermente convesso, e l’immagine riflessa appare ingrandita. Ciononostante è del tutto inutile, risultato di un’idea fallimentare, perché un bastone da passeggio, in uso, è per sua natura in continuo movimento, e l’immagine nello specchio appare troppo instabile e fugace per essere in qualche modo d’aiuto. Ma questo stravagante bastone è un regalo fatto fare su misura per lui dallo zio e, ogni volta che lo passa a trovare, Tomás lo porta con sé.
Imbocca Rua de São Miguel e la percorre fino a Largo São Miguel, poi prende per Rua de São João da Praça prima di svoltare all’Arco de Jesus, itinerario rilassante per chi come lui sta attraversando una città che conosce da tutta la vita, una città di bellezza e animazione, di commerci e cultura, di sfide e gratificazioni. All’Arco de Jesus viene assalito da un ricordo di Dora, Dora che sorride e si allunga per toccarlo. In casi del genere il bastone è utile, perché il ricordo di lei gli fa sempre perdere l’equilibrio.
«Me ne sono trovata uno ricco», gli aveva detto una volta, mentre erano distesi sul letto a casa di lui.
«Temo di no», aveva replicato. «Quello ricco è mio zio. Io sono il figlio povero del fratello povero. Negli affari papà ha fallito tanto quanto lo zio Martim ha avuto successo, in proporzione esattamente inversa.»
Non ne aveva mai parlato a nessuno, di sicuro non con tanta franchezza e sincerità, degli alti e bassi della carriera del padre, dei progetti imprenditoriali che fallivano l’uno dopo l’altro, lasciandolo sempre più ostaggio del fratello che ogni volta accorreva in suo aiuto. Ma a Dora poteva confidare tutto.
«Oh, dici così, ma i ricchi hanno sempre dei tesori nascosti da qualche parte.»
Aveva riso. «Davvero? Non ho mai pensato che lo zio fosse troppo riservato riguardo alla sua ricchezza. E se è così, se sono ricco, perché non vuoi sposarmi?»
Mentre cammina, la gente lo fissa. Molti commentano, qualcuno per deriderlo ma la maggioranza per aiutarlo. «State attento, potreste inciampare!» avverte una signora preoccupata. È abituato alle attenzioni della gente; a parte un cenno sorridente verso chi ha buone intenzioni, non ci fa caso.
Un passo dopo l’altro raggiunge Lapa, la camminata è disinvolta, ogni piede sollevato verso l’alto e poi posato con calma. Un’andatura elegante.
Calpesta la buccia di un’arancia, tuttavia non scivola.
Non si accorge di un cane che dorme, tuttavia il tallone si posa a pochi centimetri dalla coda.
Manca un gradino mentre scende una scalinata curva, però è aggrappato alla ringhiera e recupera facilmente l’equilibrio.
E altri piccoli incidenti del genere.
A sentir parlare di matrimonio il sorriso di Dora svaniva. Era fatta così. In un attimo passava dall’allegria alla massima serietà.
«No, la tua famiglia ti metterebbe al bando. La famiglia è tutto, non puoi voltar loro le spalle.»
«La mia famiglia sei tu», replicava guardandola dritto negli occhi.
Lei scuoteva la testa. «No, non sono io.»
Gli occhi, sollevati parzialmente dall’incombenza di guidarlo, gli si rilassano nel cranio come due passeggeri sdraiati sui lettini a poppa di una nave. Invece di controllare in continuazione la strada, si guardano attorno con aria sognante. Notano la sagoma delle nuvole e degli alberi. Seguono veloci gli uccelli. Osservano un cavallo che sbuffa mentre traina un carretto.
Si soffermano su dettagli architettonici degli edifici mai notati prima. Studiano l’animazione del traffico in Rua Cais de Santarém. Tutto considerato, sarà un’incantevole passeggiata mattutina in questo mite giorno di fine dicembre dell’anno 1904.
Dora, meravigliosa Dora. Lavorava a servizio presso la famiglia dello zio. Tomás l’aveva notata subito la prima volta che era andato a trovarlo dopo che era stata assunta. Quasi non riusciva a smettere di guardarla o a togliersela dalla mente. Si sforzava di essere particolarmente gentile con lei e di coinvolgerla in brevi conversazioni su questioni di poco conto. Questo gli consentiva di continuare a osservare il suo nasino delicato, i vivaci occhi neri, i piccoli denti bianchi, il suo modo di muoversi. Tutto a un tratto si era trasformato in un ospite assiduo.
Ricordava il momento esatto in cui Dora si era resa conto che si rivolgeva a lei non come a una domestica ma come a una donna. Aveva sollevato gli occhi nei suoi, per un attimo i loro sguardi si erano incrociati, poi si era voltata, ma non prima che un rapido sorriso complice le arricciasse un angolo della bocca.
Allora in lui si era scatenato qualcosa di immenso, ed erano svanite le barriere di classe, di status, di assoluta impossibilità e ammissibilità. Alla visita successiva, mentre le porgeva il cappotto, le loro mani si erano sfiorate ed entrambi avevano indugiato su quel contatto. Da quel momento la faccenda era andata avanti spedita. Fino a quel momento, lui aveva avuto esperienze di intimità sessuale soltanto con qualche era proseguita, circostanze che erano state terribilmente eccitanti e subito dopo terribilmente deprimenti. Era fuggito ogni volta, vergognandosi e giurando che non lo avrebbe fatto mai più. Con Dora, era terribilmente eccitante e dopo rimaneva terribilmente eccitante. Lei gli posava la testa sul torace e giocava con la fitta peluria. Non desiderava fuggire da nessuna parte.
«Sposami, sposami, sposami», implorava. «Saremo la ricchezza l’uno dell’altra.»
«No, saremo soltanto poveri ed emarginati. Tu non sai cosa vuol dire. Io sì, e non voglio che tu debba provarlo.»
In quella stasi amorosa nacque il loro piccolo Gaspar. Se non fosse stato per le sue suppliche tenaci, lei sarebbe stata licenziata dalla famiglia dello zio quando si scoprì che aspettava un bambino. Il padre era stato il suo unico sostenitore, gli diceva di vivere il suo amore per Dora, l’esatto opposto del disprezzo silenzioso dello zio. Dora venne relegata a invisibili lavori nel profondo della cucina. Altrettanto invisibile viveva Gaspar nella famiglia Lobo, amato in modo invisibile dal padre, che in modo invisibile amava sua madre.
Tomás passava spesso, tanto quanto consentiva la decenza. Dora e Gaspar andavano a trovarlo all’Alfama nei giorni liberi di lei. Andavano al parco, sedevano su una panchina, guardavano Gaspar giocare. In quei giorni erano una coppia normale. Era innamorato e felice.
Supera la fermata dei tram mentre un tram sferraglia sulle rotaie, una novità nel trasporto che ha al massimo tre anni, giallo brillante ed elettrico. Gente che corre per salire, gente che si affolla per scendere. Li evita tutti salvo uno contro cui va a sbattere. Segue un rapido scambio di reciproche scuse offerte e accettate, poi prosegue.
Il marciapiede ha diversi ciottoli divelti, tuttavia ci scivola sopra con scioltezza.
Il piede urta la gamba della sedia di un bar. Sobbalza ma niente di più.