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Senza cielo - Menotti Lerro - copertina
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Senza cielo
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Senza cielo - Menotti Lerro - copertina
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2006
1 gennaio 2006
64 p., Brossura
9788860421111

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Le poesie di Menotti raccontano una quotidianità romantica, vissuta e sofferta. Nella raccolta “Senza cielo” ogni poesia è scritta in basso, al margine della pagina. Quello spazio potrebbe significare una giornata trascorsa e vissuta o non vissuta per intero. Poi, prima di chiudere gli occhi, prima dell’ultimo sospiro da svegli, un lampo senza tuono illumina per un attimo il cielo. È proprio questa l’impressione scagionata dallo spazio poetico menottiano. Luoghi in cui la morte è compagna di viaggio, ma dove “da lontano tutto sembra luce”. È la posizione, il punto d’osservazione del poeta. Lui vive tra la gente, sente e raccoglie un’emozione; viene catapultato lontano da tutti e da lì, spruzza inchiostro sopra la gente, come una pioggia leggera quasi impercettibile. Lo spirito di Lerro Menotti favorisce di un contatto vivo, ansimante, violento con la pagina bianca. È un incontro carnale estenuante dal quale nasce un cadavere: “Mi spezzo il polso sulla carta bianca,/ per ridurla a cadavere parlante”. A volte, pare di leggere osservazioni semplici e secche. Ma scavando la fossa, c’è una falda sotterranea nella quale il pensiero è articolato, l’emozione scomposta. È l’acqua di cui si abbevera Menotti. Con la sua anima da “teologo ateo”, spensa riflessi crudi nelle sue poesie. Girando per Milano: la metropoli che ti sopprime, ti toglie un po’ il respiro; tra fumi d’industrie, pozzanghere e cieli senza cielo. Il getto, la voracità con la quale butta giù questi versi, viene espressa anche nel suo stesso scrivere. Bisognerebbe leggerle scritte a mano le poesie di Menotti. Aprire il moleskine e apprezzare il tratto della penna, le cancellature, la scrittura veloce, parole quasi illeggibili per la voglia di spiaccicarle subito sulla carta. Per Lerro Menotti, la vita è composta di continue rivelazioni che conquistano la sua anima; la fanno palpitare, la dilaniano, la chiudono, la macinano, la rivoltano come un calzino. E pure, lui è sempre pronto a scattare i miracoli e a esclamare: “Capire d’essere vivo mi sconvolge”.

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Critiche Varie
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Gianmario Lucini «Di una sottile e infinita malinconia è intrisa questa poesia-vortice, questa catarsi di attimi che sembrano irrompere dalla memoria alla penna in un continuo e irresistibile flusso in crescendo. La poesia a volte può essere catarsi e credo che questa di Menotti ne sia un esempio ben riuscito.»; R.Carifi «Senza Cielo, una raccolta bellissima che si nutre di morte a un angolo di città, si lascia andare allo spazio senza cielo "come se la vita non dovesse appartenermi". Nel libro di Menotti Lerro la vita c'è ma è come se non ci fosse, su tutto prevale la verità della vita che è la morte»; Giorgio Bárberi Squarotti:«la sua poesia è aspra e cupa nelle fragilità a cui efficacemente aspira. Il mondo che rappresenta è povero di luce e l'unica verità è la pena e il male. Il risultato è molto spesso notevolissimo, sorretto com'è da un'inventività suasiva. Il perchè che non trovammo è mirabile.»

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Pietro Sassi
Recensioni: 5/5

Articolo apparso su francamente.net a firma di PietroSassi (Pietrosassi@tele2.it) 11/5/2006 - La poesia è, si può, dire, il racconto di una vita, fatto di momenti successivi, una lunga sequenza di fermo-immagini che illuminano con il loro valore simbolico ed evocativo i passaggi importanti di un'esistenza segnata sin dall'infanzia dalle difficoltà, dal dolore, da un senso di rassegnata disperazione, direi di morte, dalla disperata e vana ricerca del senso ultimo della vita: "Stasera il bosco penetra le case che aspettano, aspettano ancora, ancora. Da qui si vede tutto.." "Il pianto della rassegnazione non ha eco, non lo puoi toccare, vedere, sentire; ma solo immaginare in attimi che non t'aspetti mentre tua madre taglia le patate e pulisce il coltello sul grembiule." Ci sono monenti in cui attraverso il gioco, il sogno e il ricorrere di giorni speciali si cerca di fuggire, almeno con la mente, da un paesaggio esterno ed interiore oppresso da un'insita, apparentemente inevitabile tragicità dell'esistere: "Il gioco era un'invenzione: sognare lo scudetto in una radio, chiudere i soldatini nelle trincee del cuore, affilare qualche molletta del bucato per farne un’automobile giocattolo che ci portasse via, ma che poi mai sarebbe passata." "Sulla sedia a dondolo inventavo le nuvole d'aprile aspettando la pioggia e le ombre della sera che tardavano, che non m'ascoltavano." Il male di vivere sembra però inseguire il protagonista ed assediarlo anche nel presente e rivelarsi in ogni volto, in ogni cosa di una realtà ostile. L'unica via di fuga pare essere ancora il rifugio nel gioco, nella fantasia, nel sogno, in definitiva nella poesia: "Domani mi nascondo sotto la bancherella dell'indiano con la piccola Yasmine.. immobile, in silenzio... gioca... le racconto fiabe..."

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La recensione di IBS

Si "muore" all'angolo del Duomo osservando, o meglio "vedendo", il "pazzo" e il "deforme" che sono a loro volta già morti (per la società); si muore interrogandosi allo specchio e scoprendosi "vecchio"; nella spaventosa Milano – che si erge a simbolo della metropoli moderna – paragonata non a caso a un ragno che intrappola le proprie prede nei nodi della sua tela per poi divorarle una dopo l'altra. Una penna che non risparmia niente e nessuno. Persino Dio – se esiste – è colpevole.

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