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Il secondo capitolo della Underworld Usa Trilogy di Ellroy inizia dove American Tabloid finiva. Seguiamo alcune vecchie conoscenze e qualche new entry nelle loro incursioni all'interno della Storia (con la S maiuscola). Ne seguiamo l'ascesa ed il declino, quasi fosse un romanzo di formazione maledetto. Ne seguiamo illusioni e disillusioni, perdizione e compromessi, in un percorso lungo 762 pagine intrise di cinismo, che dall'innocenza conducono agli inferi. Riusciamo infine, proprio a questo punto, ad individuare una morale. La troviamo nel finale, come di consueto amaro, ma percorso da una certa, malinconica, vena di dolcezza. Un finale catartico, in cui ognuno trova, a suo modo, una qualche redenzione. Come il romanzo precedente, anche Sei pezzi da mille si abbuffa di dietrologie, costruendo una versione romanzata (ma terribilmente coerente) degli anni '60 americani. Da Dallas (luogo dell'omicidio di JFK), a Los Angeles (luogo dell'omicidio di RFK, Bobby Kennedy), passando per Memphis (luogo dell'omicidio di Martin Luther King), scopriamo che tutto è collegato da un filo rosso sangue. Che nulla è per caso, neanche le acquisizioni dei casinò di Las Vegas da parte del miliardario Howard Hughes, nemmeno la guerra del Vietnam. Forse più complesso di American Tabloid, scritto in modo ancora più estremo, Sei pezzi da mille colpisce, frastorna, abusa del lettore, pur lasciandogli grande libertà nello stabilire connessioni e spiegazioni, a volte appena intuite o addirittura percepite tra le righe di un'intelaiatura composta da frasi secche, quasi cinematografiche, di fatto cronaca in tempo reale degli avvenimenti nell'universo parallelo costruito da Ellroy. Lo stile è sicuramente qualcosa di più ardito: Ellroy osa, lo sa ed evidentemente se ne compiace. Il secondo libro della trilogia americana è insomma all'altezza delle aspettative, pur perdendo un po' di fascino rispetto al suo predecessore. Ma il livello è decisamente altissimo.
Prendete carta e penna e annotate nomi e fatti. Scritto come solo lui sa fare. Un maestro.
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Recensioni
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"Due salotti. Due camere da letto. Tre televisori. Fondi neri. Sei pezzi da mille. Uccidi quel negro, ragazzo."
L'ultimo romanzo di Ellroy è un'opera di grande ampiezza (la trama si sviluppa infatti in ben 762 pagine) che si apre su di una data storica: il 22 novembre 1963, giorno dell'assassinio di John F. Kennedy.
Quel giorno è stato davvero discriminante per la storia degli Stati Uniti se, ancora in questi giorni, si è riaperto il dibattito su responsabilità mai scoperte di altri individui in questo omicidio tanto rapidamente attribuito al solo Lee Harvey Oswald, su depistaggi attuati dalle autorità federali, su servizi segreti coinvolti nella drammatica sparatoria di Dallas.
Il romanzo, così come è sempre avvenuto per i romanzi storici classici, propone sia figure storiche che di pura fantasia e intreccia le azioni degli uni e degli altri collocandole tutte in un ambiente realistico e assolutamente verosimile. Così è difficile distinguere tra verità e finzione, tra denuncia del malcostume e della criminalità americana degli anni Sessanta e abilità narrativa, capacità di creare suspense, costruzione quasi scientifica del delitto, doti proprie di uno scrittore di gialli. Lo stesso Ellroy rifiuta di dire ai suoi lettori che cosa abbia preso direttamente dalla realtà, magari quella non ufficialmente presentata dalla stampa, e che cosa abbia semplicemente inventato. Eppure è innegabile che la mafia aveva (il tempo passato è forse un po' ottimistico) grande potere negli Usa e rapporti anche con le autorità politiche ed economiche del paese: così l'intreccio che pone un boss tra i principali attori della vicenda non pare tanto lontano dalla realtà. Anche le reazioni suscitate dal fallimento della tentata invasione di Cuba alla Baia dei Porci sono di certo rispondenti a verità. E che nell'isola caraibica vi sia stato, in quegli anni, un traffico di armi, così come che il Vietnam abbia significato (nell'escalation dell'impegno armato Usa) anche un aumento sempre più massiccio di diffusione della droga, è ormai un dato storico. D'altra parte, nello stesso periodo, gli Stati Uniti avevano visto l'espandersi del movimento per i diritti civili grazie all'insegnamento di Martin Luther King, un esempio di non violenza che il razzismo è riuscito a fermare solo con la morte. Ebbene tutte queste figure e queste vicende storiche vengono continuamente a intrecciarsi con eventi fittizi e con personaggi letterari, killer, trafficanti di droga, poliziotti e assassini che fanno parte della tradizione creativa dell'autore.
Protagonista è un poliziotto di Las Vegas che mostra nel carattere duro e deciso, in un forte senso etico e nell'agire determinato, le caratteristiche tipiche di tanti personaggi di Ellroy.
Il linguaggio che lo scrittore americano usa è martellante, l'andamento narrativo intenso e, talvolta, la riproduzione di documenti ufficiali (di pura fantasia) che interrompono la storia permettono ai lettori una specie di tregua; sono un momento di pausa in uno scoppiettio di situazioni incalzanti.
L'autore sta già lavorando a un altro romanzo centrato sugli anni immediatamente successivi a questi, e precisamente quelli che vanno dal 1968 al 1972. Stranamente la trama copre solo quattro anni e non cinque, come per i precedenti libri di questa serie, perché Ellroy non desidera assolutamente trattare un argomento scottante come lo scandalo Watergate e attaccare persone ancora viventi: prudenza? rispetto? o forse una certa ritrosia ad affrontare eventuali problemi? La fama e il successo hanno probabilmente spento parte della "rabbia" che lo scrittore americano ha sempre avuto in corpo.
A cura di Wuz.it
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