L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
recensione di Voltolini, D., L'Indice 1990, n. 8
La narrazione procede lenta, talvolta lentissima, non è giallo, non è fantascienza, eppure ci sono una tensione e un tema che farebbero pensare a entrambi i generi.
Siamo alla fine di questo millennio, a Erice, dove giungono da molte parti del mondo scienziati di varia levatura: manovali da laboratorio, ricercatori che hanno mancato il momento magico della propria carriera, altri che invece lo attendono o che se lo stanno preparando, vecchi marpioni, donne bellissime e il tre volte Nobel David Pearlman, il totem catalizzatore di tutto il consesso scientifico.
Pearlman non sembra essere di questo mondo. Le sue ricerche matematiche intorno alla possibilità di prevedere ogni futura configurazione di un modello (mentale?, cerebrale?, neuronale?) a partire da quella attuale appartengono alle più pure e alte forme del pensiero umano. La sua dedizione totale alla ricerca lo rende simile a un santo martire. Un'aura lo circonda e circonda i suoi gesti, le persone che collaborano o hanno collaborato con lui, chiunque lo avvicini.
Ma saranno vere, applicabili, credibili le equazioni di Pearlman, oppure nella pratica stessa dei laboratori di ricerca si annida la possibilità di far tornare qualunque conto? Cosa alligna nell'interregno tra la ricerca pura e gli interessi economici dell'industria farmaceutica? In questa terra di nessuno si muove la narrazione di Pierantoni, della quale è bene sapere fin dall'inizio che deluderà sia le attese giallistiche, sia quelle fantascientifiche.
Infatti la vera cifra narrativa di "Segesta, domani" consiste nel tentativo di Pierantoni di costruire una voce narrante interna al racconto (quella del professor Vanni, segretario della Scuola di Erice), niente affatto onnisciente, però voracemente "onnivedente". E ciò che l'occhio del narratore vede resta spesso in posizione subordinata rispetto al modo in cui viene visto. In queste occasioni il Pierantoni narratore ricorda moltissimo il Pierantoni scienziato che pubblicò nel 1981 "L'occhio e l'idea" (Boringhieri), un volume molto bello su di un argomento - la visione - affascinante.
In entrambi i casi la scrittura di Pierantoni sa farsi trasparente e felice, forse perché nasce da un'intuizione semplice e geniale: il punto di vista è quello dell'occhio. Ma, mentre lo scienziato che discuteva del proprio oggetto di studi comunicava al lettore la propria eccitazione di scoprire, di capire, di cercare, il romanziere che narra di scienziati comunica delusione, disillusione, disinganno. Al di qua della retina narrante c'è un uomo stanco e sfiduciato, la cui ipersensibilità esistenziale sembra polarizzata su abbandono e rinuncia, cosicché la bellezza nitida di certe immagini acquista un valore crudele, non la si può sopportare. La stessa narrazione, accumulando tensioni che non si risolvono, è coerente con questa tonalità emotiva.
Ma la trovata di affidare la dichiarazione illuminante a una orientale che parla in giapponese, in modo da non farsi capire nemmeno dall'interlocutore, è narrativamente sleale.
Verrebbe da domandare: Vanni, Ruggero, ma che diavolo ha detto quell'antipatica di Youko? Ma invece no, sarebbe sleale (in una recensione).
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore