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Anno edizione: 2020
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recensione di Grassano, M., L'Indice 1996, n. 5
"Verrà il giorno, non troppo lontano, in cui non rimarrà più alcun sopravvissuto di Buchenwald. Non ci sarà più una memoria immediata di Buchenwald: nessuno più ci saprà dire con parole provenienti da una memoria carnale... cosa sono stati la fame, il sonno, l'angoscia, la presenza accecante del Male assoluto..., l'odore, indelebile, della carne bruciata dei forni crematori" riflette Jorge Sempr£n durante una visita al campo di concentramento di Buchenwald - la prima dopo quarantasette anni - nel quale era stato rinchiuso, come resistente nella Francia occupata, dal gennaio 1944 all'aprile 1945.
La riflessione è riportata verso la fine del suo libro "La scrittura o la vita", e motiva le ragioni che lo hanno spinto a scrivere: quando non ci saranno più sopravvissuti, rimarranno i libri a evocare l'orrore della morte vissuta giorno per giorno. Non è stato facile, per Sempr£n, raccontare la sua esperienza di Buchenwald, pur compiuta nell'amato tedesco delle istitutrici infantili e degli studi filosofici. Per sedici anni si trova nell'impossibilità assoluta di farlo senza mettere a repentaglio la propria sopravvivenza: "Mi si era imposta una scelta: la scrittura o la vita. Il racconto che brandello su brandello, frase su frase, strappavo ai miei ricordi, come un cancro luminoso divorava la mia vita". Sempr£n sceglie la vita, ossia l'oblio, il velo di silenzio steso come un manto di neve su quegli episodi. Ma la neve, l'immagine angosciosa dei fiocchi che scintillavano nel fascio di luce dei riflettori del campo, torna a ossessionarlo nei sogni, lo colpisce a tradimento come la lama di uno stiletto nel mezzo di una conversazione, di una cerimonia, di un incontro amoroso: non basteranno l'impegno politico e le conquiste femminili a tenere lontani i fantasmi del passato.
All'inizio degli anni sessanta, clandestino nella Spagna franchista, inizierà finalmente a scrivere - in francese, come farà con tutti gli altri - il suo primo romanzo, "Il grande viaggio", dove viene narrata la deportazione di un giovane spagnolo impegnato nella resistenza francese, con salti temporali in avanti (la vita nel campo) e all'indietro (la lotta ai tedeschi). Ma il protagonista non è Sempr£n, anche se gli somiglia molto; la stessa cosa accadrà coi personaggi di tutti i suoi libri in qualche modo buchenwaldiani: "Che bella domenica!", "La sparizione", "La montagna bianca", "Netchaiev è di ritorno", ecc.
Solo dopo aver rivisto il campo, nella primavera del 1992, dopo aver provato l'emozione di "ritornare a casa, cioè all'universo dei miei vent'anni", dopo aver abbandonato "la disperazione mortale che si accumula nell'anima, durante tutta una vita, per ritrovare la speranza dei miei vent'anni che la morte aveva avviluppato", Sempr£n riuscirà a portare a termine, in forma pienamente autobiografica, "il libro lungamente, ripetutamente rifiutato": "La scrittura o la vita". Che è anche la travagliata storia del libro stesso.
Alcuni meccanismi di difesa dal materiale autobiografico troppo scottante sono però rimasti: se ne "Il grande viaggio" era la filosofia a mediare tra la scrittura e la vita, con domande esistenziali dalle risposte sofisticamente contorte ("Perché lei è arrestato?", "Sono imprigionato perché sono un uomo libero, e mi sono trovato nella necessità di esercitare la mia libertà") o assolutamente ovvie ("Perché quel soldato è qui?", "È qui perché non è altrove"), adesso il ruolo di filtro, di protezione è assunto dall'universo della poesia. "Ho sempre avuto fortuna io coi poeti - dice Sempr£n -, al momento giusto ho sempre trovato l'opera poetica che poteva aiutarmi a vivere". "La scrittura o la vita" è fittamente intessuto, quasi saturato, di citazioni: intere strofe virgolettate o brevissimi frammenti occultati nella trama delle frasi.
Il francese del madrileno Jorge Sempr£n è impeccabile, raffinato e sontuoso quanto quello dell'argentino Héctor Bianciotti: nessun vestigio, nella loro prosa, del castigliano originario. Ma mentre Bianciotti scrive nella lingua d'adozione spinto dall'esigenza sentimentale di recuperare i suoni del dialetto piemontese dei genitori, per Sempr£n si tratta di una scelta deliberata: "Mi sarebbe stato ugualmente facile, od ugualmente difficile, scrivere in spagnolo. Ho scritto in francese perché ho fatto di quella lingua la mia lingua madre". La traduzione di Antonietta Sanna è puntuale, corretta e non priva di una certa eleganza.Gliene siamo grati.
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