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recensioni di Boni, S. L'Indice del 2000, n. 07
Gli scaffali delle librerie specializzate sono stipati di volumi dedicati ai grandi registi della storia del cinema, ma ci sono autori che nessuno ha mai pensato di affrontare, artisti straordinari che il tempo e la memoria hanno rinchiuso in una stanza buia. Alessandro Pirolini, con passione e coraggio, ha scelto di colmare una grave lacuna e ha dato alle stampe il primo libro italiano dedicato a Rouben Mamoulian. Sono in pochi a ricordarsi di lui, forse qualcuno ha visto Il dottor Jekyll (1931), restaurato all'inizio degli anni novanta, o La regina Cristina (1934) che, grazie alla presenza della Garbo, passa ogni tanto in televisione, o ancora Il segno di Zorro (1940). Il resto della sua opera Š stato dimenticato, e riaffiora saltuariamente solo nell'ambito di qualche retrospettiva. Mamoulian, nato nel 1897 a Tbilisi (capitale dell'attuale Georgia), trasferitosi giovanissimo a Londra per lavorare in teatro e passato ben presto in America, ha vissuto fino a novant'anni, eppure tutta la sua carriera cinematografica si dispiega nel periodo 1929-1957, meno di trent'anni durante i quali realizza solo sedici film. Era molto attivo in teatro - nel 1935 port• al successo Porgy and Bess di George Gershwin -, ma anche in quest'ambito la sua fortuna si interruppe nel corso degli anni cinquanta. La sua storia Š simile a quella di tanti altri grandi del cinema americano, chiamati a Hollywood per il loro talento, costretti a un costante braccio di ferro con i produttori per ottenere il controllo sulle loro opere, scaricati dagli studios per la loro intransigenza. Mamoulian, in effetti, pretendeva di supervisionare ogni aspetto della produzione, dalla sceneggiatura alle luci, dalle scenografie e i costumi fino al montaggio. Un regista "demiurgo", un intellettuale europeo colto e sensibile che seppe istintivamente cogliere la modernit… del cinema e sfruttarne tutte le possibilit… linguistiche. Gir• Applause (1929), il suo primo film, quando il cinema sonoro era appena nato, e riusc, a differenza di molti altri registi pi— affermati di lui, a utilizzare il parlato in funzione espressiva, prendendo le distanze sia dall'estetica del muto sia dalla tradizione teatrale. Becky Sharp (1935) fu il primo vero film in Technicolor e, anche in quest'occasione, Mamoulian utilizz• la tecnica con straordinari risultati semantici, non limitandosi a un uso "realistico" dell'elemento cromatico. Pirolini, oltre a fornire preziose indicazioni biografiche, conduce la sua analisi tanto sul piano linguistico quanto su quello narratologico con spunti di grande interesse.
Stefano Boni
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